Ipertensione, nuova scoperta: un semplice intervento riesce a curare quella più resistente

L’ipertensione arteriosa uccide più di 7,5 milioni di persone nel mondo ogni anno, rappresentando il 13% di tutti i decessi all’anno a livello globale. Un trend che potrebbe aumentare considerando che la sua prevalenza non ha smesso di crescere negli ultimi 10 anni, con 700 milioni di persone non curate. Esiste inoltre un tipo di ipertensione arteriosa genetica molto difficile da diagnosticare e controllare, che da 60 anni creava problemi agli esperti. Ora, grazie a uno studio pubblicato su Nature Medicine dai medici della Queen Mary University di Londra, del Barts Hospital e del Cambridge University Hospital, ci sarebbe una soluzione.

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Per almeno 1 paziente su 20, la vera causa dell’ipertensione sono i piccoli noduli localizzati nelle ghiandole surrenali. Come indica il loro nome, queste piccole ghiandole si trovano su entrambi i reni e la loro funzione è quella di rilasciare vari tipi di ormoni. Il problema è che se li secernono in eccesso possono insorgere malattie come l’ipertensione arteriosa resistente.

Nella maggior parte dei pazienti con diagnosi di ipertensione, la vera causa è sconosciuta e il trattamento farmacologico è solitamente permanente. Tuttavia, i ricercatori del presente studio hanno scoperto che in almeno il 5-10% dei casi il problema congenito potrebbe essere determinato. Si tratterebbe di una mutazione genetica nelle sue ghiandole surrenali, che porterebbe alla produzione di quantità eccessive di aldosterone . Questo ormone porta a una ritenzione di sale nel corpo e, infine, a un aumento della pressione sanguigna. I pazienti sono spesso resistenti ai trattamenti medici e sono anche a maggior rischio di infarto o ictus.

In questo caso, i ricercatori avrebbero sviluppato un nuovo tipo di tomografia computerizzata (TC) per illuminare piccoli noduli nelle ghiandole surrenali e curare l’ipertensione rimuovendoli. Attualmente, la sua individuazione è possibile solo in un piccolo gruppo di ospedali e attraverso l’uso di un catetere, un metodo che spesso non ha successo. Inoltre, si è visto che la combinazione di questo nuovo test con un’analisi delle urine specifica porterebbe i pazienti a interrompere completamente il trattamento per l’ipertensione.

Per giungere a queste conclusioni è stato condotto uno studio su 128 persone con diagnosi di ipertensione arteriosa secondaria ad un eccesso di aldosterone. Due terzi di questi pazienti soffrirebbero di un’eccessiva secrezione ormonale a causa di un nodulo benigno localizzato in una delle due ghiandole surrenali. Utilizzando una dose molto breve di metomidato , un colorante reattivo che aderisce solo ai noduli che producono aldosterone, il nuovo test ha permesso di scoprire questi noduli in modo rapido, indolore e tecnicamente efficace in tutti i pazienti. Fino ad ora, il test del catetere non poteva prevedere quali pazienti sarebbero stati completamente curati dall’ipertensione con la rimozione chirurgica della ghiandola. Tuttavia, la combinazione della nuova tomografia con un’analisi delle urine sarebbe stata in grado di anticipare con successo quale dei pazienti avrebbe raggiunto la guarigione totale. Nello specifico, hanno previsto 18 su 24.

Secondo il dott. Morris Brown, professore di ipertensione endocrina presso la Queen Mary University di Londra e coautore dello studio, “Questi noduli che producono aldosterone sono molto piccoli e si perdono facilmente in una normale TAC. Ma quando si illuminano per pochi secondi dopo il contrasto radioattivo è possibile scoprire la vera causa dell’ipertensione e curarla.Attualmente fino al 99% dei pazienti non viene mai diagnosticato data la difficoltà e la scarsa disponibilità di questi test nella maggior parte degli ospedali”, conclude.

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