Palermo, maxi operazione contro vecchi boss. Nelle intercettazioni spunta lo statuto di Cosa Nostra: «Rispettare il codice scritto»

Uno statuto scoperto direttamente dalle intercettazioni di un boss che chiedeva di «rispettare un codice scritto». È la novità emersa da un’indagine dei carabinieri del Nucleo investigativo di Palermo, che hanno arrestato sette persone con le accuse di associazione mafiosa ed estorsione aggravata. Il blitz, coordinato dalla Dda guidata dal procuratore Maurizio de Lucia, ha colpito la “famiglia” mafiosa di Rocca Mezzomorreale (Palermo) e i suoi vertici, già condannati in via definitiva e tornati liberi dopo aver scontato la pena. In cella sono finiti anche uomini d’onore riservati, sfuggiti finora alle indagini, che sarebbero stati chiamati in azione solo in momenti di criticità per la cosca. Per 5 indagati è stato disposto il carcere, per due i domiciliari. L’operazione, condotta tra Riesi, nel nisseno, e Rimini, ha consentito di smantellare la famiglia mafiosa di Rocca Mezzomonreale, «costola» del mandamento palermitano di Pagliarelli, ed ha confermato, ancora una volta, le storiche figure di vertice, già in passato protagoniste di episodi rilevantissimi per la vita dell’associazione mafiosa, come la gestione del viaggio a Marsiglia del boss Bernardo Provenzano per sottoporsi a cure mediche o la tenuta dei contatti con l’ex latitante trapanese Matteo Messina Denaro.

Lo statuto

«C’è lo statuto scritto … che hanno scritto i padri costituenti», afferma uno dei boss arrestati oggi, non sapendo di essere intercettato. Una rivelazione che i magistrati ritengono importantissima e che conferma l’osservanza da parte dei capimafia di ferree regole, una sorta di «costituzione» della mafia. 

I boss continuano a rispettare le vecchie «regole» mafiose e a imporne l’osservanza agli affiliati, dunque. Le «cimici» piazzate dagli investigatori hanno potuto ascoltare le conversazioni degli indagati che spesso si richiamavano al rispetto di principi mafiosi arcaici, un vero e proprio «statuto» scritto dai padrini. «Principi» che i capimafia continuano a considerare il baluardo dell’esistenza stessa di Cosa Nostra. Nell’ambito della conversazione registrata, definita dal gip «di estrema rarità nell’esperienza giudiziaria», si è più volte fatto richiamo all’esistenza di un «codice mafioso scritto», custodito gelosamente da decenni e che regola, ancora oggi, la vita di cosa nostra palermitana.

 

Le critiche alla strategia stragista di Riina

Nelle intercettazioni i capimafia arrestati criticano la strategia stragista del boss Totò Riina. «Niente cose infami, ma perché pure tutte queste bombe tutti questi giudici, tutti questi… ma che cosa sono?», dice uno degli indagati non sapendo di essere intercettato, dopo aver stigmatizzato anche la scelta di assassinare i familiari del pentito Tommaso Buscetta ancor prima che questi cominciasse a collaborare con la giustizia. Dure parole vengono riservate anche all’ex boss Giovanni Brusca. «Una scopettata (un colpo di fucile, ndr) nelle corna gli dovrebbero dare». Secondo i due padrini intercettati, Riina e i suoi «pensavano solo a riempire il portafoglio». «Sì, e non si interessava a niente. Non è che loro amavano la cosa (dove per cosa verosimilmente si intende l’organizzazione mafiosa, ndr). Perché uno che la ama, fa le cose per non distruggerla, per tenerla», sentenzia il boss. «Tutte le cose sono finite», conclude ricordando che in passato «c’erano buoni rapporti con gli organi dello Stato. Non si toccavano, non si toccavano. Anzi li allisciavano», dice l’interlocutore.

Gli investigatori sventano un omicidio

Le indagini hanno sventato un omicidio. La sentenza di morte, decisa durante un summit di mafia e segno della ritrovata armonia tra i membri della famiglia mafiosa, venne emessa nei confronti di un architetto che nella sua attività, secondo i boss, aveva commesso alcune mancanze verso il clan. I carabinieri, inoltre, hanno ricostruito diverse estorsioni a imprenditori e commercianti: gli incassi alimentavano le casse della famiglia. A volte i boss imponevano le ditte a loro vicine. Per convincere la vittima a pagare, in un caso venne fatta trovare vicino al cancello di un’abitazione una bambola con un proiettile conficcato nella fronte. La vittima designata era un architetto che, a dire dei boss, aveva commesso numerosi errori nella gestione della pratica amministrativa relativa alla regolarizzazione di un immobile. Tanto che poi per l’edificio era stato emesso un ordine di demolizione.

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