Neonato morto soffocato, l’infermiera: «Ho fatto ciò che dovevo per salvare quel neonato»

«Ho fatto tutto quello che dovevo per quel bimbo». Lo giura alle colleghe l’operatrice dell’ospedale Pertini, che nella notte tra il 7 e l’8 gennaio si è trovata a dovere raccogliere tra le sue braccia il piccolo Carlo Mattia, dichiarato morto all’1,40 dopo una disperata manovra rianimatoria. Garantisce di aver seguito attentamente il protocollo, anzi di avere fatto anche di più perché, a partire dal primo gennaio, nemmeno era così chiaro quale modello gestionale seguire, se il nuovo stabilito con la delibera del 30 dicembre scorso che prevede la sorveglianza di mamma e neonato da parte dell’ostetrica o quello vecchio che, invece, coinvolge nei controlli le infermiere stesse del nido. Come lei, appunto. Chi la conosce sa che ora è sconvolta, in attesa di essere ascoltata dagli inquirenti che indagano per omicidio colposo.

«Viene al lavoro come sempre, d’altronde non ha alternative – dicono alcune colleghe – ma è esausta. Ha sempre davanti agli occhi quel bimbetto morente. È stata sfortunata, poteva capitare a chiunque». La donna ha raccontato di avere eseguito durante il turno di servizio tutti i prelievi di routine sul neonato e di essere anche passata per i controlli. Tutte circostanze che ora l’inchiesta penale dovrà accertare. Per il momento il fascicolo resta contro ignoti.

L’SOS DELLA MAMMA
Ma è sulla omessa vigilanza e su presunte negligenze da parte dell’ospedale nell’applicazione del cosiddetto Rooming in (ossia la condivisione della stessa stanza tra puerpera e neonato nelle 24 ore) che si concentrano le attenzioni degli investigatori: il neonato, infatti, sarebbe morto schiacciato dal corpo della stessa mamma, una donna di 29 anni, crollata dal sonno per la stanchezza mentre allattava il bebè.

Sarebbe stata una delle infermiere del Pertini a dirle in che posizione mettersi sul letto durante la poppata. «Ero sfinita – ricorda lei – avevo partorito dopo 17 ore di travaglio. Il piccolo piangeva sempre, non avevo chiuso occhio nemmeno nelle notti precedenti. Ho chiesto più volte, così anche il mio compagno, di darmi un po’ di tregua, di portare il bambino al nido almeno per qualche ora, invece non mi è stato consentito».

Quando la mamma si è risvegliata, il suo bimbo non era più accanto a lei: «Lo avevano portato in un’altra stanza, ho saputo che lo stavano rianimando, ho chiamato il mio compagno al telefono, gli ho detto “corri, corri qui”, ma era troppo tardi. Il nostro bambino era morto. Voglio che sia fatta giustizia, che la verità venga fuori. Non deve capitare mai più ad altre donne di essere lasciate sole e stremate dopo il parto ad accudire i bambini appena nati». Lei e la madre sono convinte che «se il problema è la mancanza di personale che, almeno, vi siano le telecamere a sorvegliare sulle gestanti e i loro bambini».

LA PETIZIONE
Intanto, in poco più di 24 ore, ha raccolto oltre 100mila adesioni la petizione contro quella che viene definita la violenza ostetrica lanciata su Change.org dall’associazione Mama Chat, con cui viene chiesto che «i protocolli ospedalieri siano aggiornati e che sia consentito l’ingresso h24 a un accompagnatore durante la degenza». Per Giulia Piccolino, della Infant Feeding Alliance, «quando i diktat della etichetta baby friendly associata al “Rooming in” si sommano ad altri fattori di rischio, quali tagli al personale sanitario, restrizioni anti-Covid eccessive, una cultura burocratica che privilegia la quantificazione dei risultati alla sicurezza effettiva dei pazienti, allora i rischi sono dietro l’angolo».

Ma qual è il protocollo adottato al Pertini? «Quello nuovo – precisa Michele Cipollini, sindacalista Uil – risulta entrato in funzione a tutti gli effetti solo il 16 gennaio in concomitanza con l’apertura del nuovo reparto di Patologia neonatale a cui sono state “dirottate” le infermiere del nido, caricando tutte le responsabilità dell’assistenza in Ginecologia sulle ostetriche. Non vorremmo che più che alla salvaguardia delle mamme e dei loro figli si sia seguita la logica di recuperare infermiere senza le quali il nuovo reparto non si sarebbe potuto aprire, perdendo i fondi regionali a esso destinati». 
 

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