Jose Mourinho: 60 candeline per lo “Special One”, dalle Champions alla Roma dei Friedkin

Suo padre, Felix, fu il primo portiere a parare un rigore ad Eusebio. L’animo da Special One, evidentemente, era di famiglia per Josè Mourinho. All’età di 60 anni, il tecnico di Setubal rimane un personaggio fuori dal comune, il solito comunicatore incisivo, un frontman delle squadre che allena e che plasma al suo carisma.

Ovunque sia andato, ha assorbito le abitudini del pubblico di casa: riti, paure, persino dialetti, facendole proprie, ricercando un’empatia immediata con la tifoseria. All’Inter, Chelsea, Real Madrid e Roma, Mourinho è stato padrone di casa sin dal primo giorno in cui è arrivato. Dove la scintilla non è scoccata da subito, invece, i saluti sono stati senza rimpianti o lacrime. A Milano è bastata una conferenza di presentazione interamente in italiano e una battuta iconica (“Non sono un pirla“) per dare la sensazione di essere interista da tre anni e non da tre settimane. In quel momento, Josè Mourinho è già lo Special One. Al Porto, in due stagioni e mezzo, ha vinto due campionati (2003 e 2004), una Coppa nazionale (2003) e una Supercoppa di Portogallo (2003), ma soprattutto una Coppa UEFA (2003) e una Champions League (2004).

Il Chelsea di Abramovich lo sceglie per il salto di qualità definitivo. A Londra si aggiudica due campionati (2005 e 2006), due Coppe di Lega (2005 e 2007), una Coppa d’Inghilterra (2006-2007) e una Supercoppa inglese (2005). Ma soprattutto rivoluziona linguaggio e gerarchie. Non ha timore ad imporsi: “Drogba? Abramovich non sapeva chi fosse. Gli dissi: ‘Non parli, paghì”, raccontò.

L’appuntamento con la seconda Champions League però è in Italia, con l’Inter di Moratti che sta dominando nel post Calciopoli. Mou vince tutto, non lascia nemmeno le briciole agli avversari e supera Herrera con un triplete leggendario: quella nerazzurra è l’unica italiana a riuscirci, lui diventa il terzo allenatore, dopo l’austriaco Ernst Happel e il tedesco Ottmar Hitzfeld, a vincere due volte la coppa dalle grandi orecchie con due club diversi (poi faranno lo stesso anche Ancelotti ed Heynckes). L’addio all’Inter è certificato dalle lacrime in un abbraccio con Materazzi e dall’assenza alla festa a Milano: “Fossi tornato, non sarei più andato via“. Al Real Madrid vince un campionato (2012), una Coppa del Re (2011) e una Supercoppa spagnola (2012). Poi di nuovo il Chelsea (Premier League 2015 in bacheca), il Manchester United e il Tottenham.

Ma la strada in Premier League si fa sempre più tortuosa, anche se coi Red Devils vince il suo quarto trofeo europeo (Europa League 16/17). A Roma è accolto da messia, come accadde ad Helenio Herrera 56 anni prima. La liturgia dell’accoglienza calcistica a Roma è scandita dalle decine di murales in ogni punto della città. Nella prima conferenza stampa affida speranze ed entusiasmo ad una locuzione dal profumo classicheggiante: “Nulla viene dal nulla, come nulla ritorna nel nulla”. E un anno dopo a Tirana alza la Conference League interrompendo il digiuno giallorosso di 14 anni. Josè Mourinho diventa così il primo tecnico a vincere tutti i trofei Uefa in attività. Non solo. È anche il suo primo titolo dalla morte di papà Felix. Si spiega anche così la commozione sul prato di Tirana di un uomo inflessibile, ma che non si è mai vergognato a farsi vedere in lacrime dopo una vittoria

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