Vorrei sentirmi un italiano orgoglioso ma non riesco. C’è speranza che cambi qualcosa?

di Michele Sanfilippo

Vorrei davvero sentirmi orgoglioso di essere italiano, ma proprio non ci riesco. Il nostro è un paese che in termini di cultura e di bellezza ha dato al mondo, forse (se la gioca con la Grecia e la Cina), più di qualunque altro. Eppure, da tempo, tutti coloro che governano si riempiono la bocca della grandezza del nostro passato, ma ogni giorno contribuiscono a renderlo più fragile, brutto e volgare.

Non so neppure da dove cominciare, tanto è lo sconforto. Parto dalla sanità pubblica che, dopo le promesse di supporto ricevute durante il drammatico periodo vissuto durante la pandemia dovuta al Covid, è abbandonata a se stessa e salassata con pratiche onerosissime, come quelle dei medici a gettone, che ne stanno decretando la prossima fine.

Proseguo con l’ambiente. Qui l’ipocrisia è incredibile. A dar seguito all’elogio unanime della bellezza del nostro territorio e patrimonio artistico, in questi anni abbiamo visto solo una teoria infinita di condoni edilizi, abbandono del territorio montano, ecomostri e interramento abusivo di sostanze velenose. Sul problema del cambiamento climatico l’Italia politica sembra non pervenuta nonostante i tanti autorevoli inviti ad agire, come quelli di Mario Tozzi, Luca Mercalli o Nicola Armaroli, solo per citarne alcuni.

In un paese dove vige tanta impunità e dove abbiamo almeno quattro organizzazioni criminali (Cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra e Sacra corona unita), uno si aspetterebbe che la giustizia sia la priorità. Secondo il Sole 24 ore, in Italia circa il 60% dei processi finisce in prescrizione. Questo vuol dire che il 60% delle persone che hanno subìto un torto non ha un risarcimento. E quindi? Invece di accelerare e rafforzare il personale e rendere il processo più veloce, la politica – preoccupata com’è di non far emergere la corruzione dei colletti bianchi – attacca la magistratura.

E poi c’è la scuola che è stata, negli anni del boom economico, strumento di formazione, di crescita personale e collettiva e, soprattutto, ha permesso l’ascensore sociale, che in una società è l’elemento più potente di spinta e integrazione. Ebbene la scuola è stata devastata da una serie infinita di micro-riforme il cui solo scopo, esattamente come per la sanità, era quello di renderla sempre più screditata.

Perché, diciamolo apertamente, l’obiettivo in cui si sono impegnate equamente destra e sinistra, negli ultimi trent’anni, è quello di sostituire il pubblico con il privato. Se ci si può aspettare che le destre (magari la destra sociale un po’ meno) seguano politiche economiche che mettono il mercato al di sopra ogni cosa, è meno facile da digerire che lo faccia anche la sinistra. Le recenti proposte di Carlo Nordio sulle intercettazioni e di Giuseppe Valditara sulla scuola fanno ridere (ma forse anche piangere), ma non sono tanto peggiori di quelle dei loro predecessori.

Questa è la situazione desolante che appare ai miei occhi, ma quel che è peggio sembra che a Palazzo non importi a nessuno. C’è la speranza che cambi qualcosa? Forse la debacle del Pd di Enrico Letta può aprire uno spiraglio perché, dal basso, il nostro paese torni a investire sui giovani, sulla loro salute, la loro educazione e il loro futuro, invece di continuare a garantire le posizioni di rendita di una classe dirigente vecchia e corrotta.

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