Ilva, un decreto legge vergognoso: sul diritto alla salute non si può trovare un bilanciamento

Cambiano i governi, ma la musica è sempre la stessa. E ancora una volta la miccia viene innescata dalla vicenda Ilva.

Ancora una volta il doveroso intervento della magistratura a difesa della salute continua a essere messo a rischio dal gravissimo inquinamento provocato dall’Ilva di Taranto. Viene bloccato da un vergognoso decreto legge (n. 2 del 2023) il quale stabilisce che gli impianti inquinanti dichiarati (come Ilva) di interesse strategico nazionale non possono essere oggetto di sequestro e misure interdittive. Di regola devono continuare a operare sotto la responsabilità di un amministratore anche se vi sono fondati specifici elementi che fanno ritenere concreto il pericolo e che vengano commessi illeciti della stessa indole di quello per cui si procede, a condizione che venga adottato e attuato un “modello organizzativo idoneo” a garantire il necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente.

Come sempre, poi, si garantisce l’impunità penale a chi inquina purché si attenga alle prescrizioni dettate per questo bilanciamento, anche se esse sono del tutto insufficienti a tutelare ambiente e salute. In sostanza, cioè, si consente di continuare a inquinare e attentare alla salute in cambio di promesse e di previsioni “cartacee” totalmente generiche e non verificabili in tempi brevi, senza alcun riguardo alla effettività della tutela dei diritti costituzionali alla vita e all’ambiente e senza considerare che sin dal 2012 l’Ilva non ha mai adempiuto alle prescrizioni di risanamento dettate in esecuzioni di analoghi decreti legge di favore.

In proposito, peraltro, basta leggere la sentenza 24 gennaio 2019 della Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo) che ha condannato lo Stato italiano per non aver realizzato le misure dettate, già dal 2012, per il risanamento dell’Ilva; ed essere, invece, “intervenuto più volte con misure urgenti allo scopo di garantire la continuazione dell’attività di produzione dell’acciaieria, e questo nonostante la constatazione da parte delle autorità giudiziarie competenti, fondata su perizie chimiche ed epidemiologiche, dell’esistenza di gravi rischi per la salute e per l’ambiente”. Precisando, altresì, che qualsiasi “bilanciamento” comporta comunque l’obbligo di adottare un’idonea regolamentazione dell’attività inquinante, al fine di assicurare la protezione effettiva dei cittadini.

Ecco, il punto è proprio questo: in questi casi, che vuol dire “bilanciamento”? Il diritto alla salute e alla vita può essere “bilanciabile” con qualche altro diritto costituzionale come il diritto alla iniziativa economica e la salvaguardia del lavoro?

In verità, la prima a parlare di “bilanciamento” in questi casi fu la Corte costituzionale la quale, sempre a proposito dell’Ilva, nel 2013 evidenziava che in questi casi non vi sono diritti “tiranni” e occorre trovare un “punto di equilibrio” attraverso “criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale”. Ma nel 2018 censurava il legislatore, il quale “ha finito col privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (artt. 2 e 32 Cost.), cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso (artt. 4 e 35 Cost.)”, perché “rimuovere prontamente i fattori di pericolo per la salute, l’incolumità e la vita dei lavoratori costituisce infatti condizione minima e indispensabile perché l’attività produttiva si svolga in armonia con i principi costituzionali, sempre attenti anzitutto alle esigenze basilari della persona”.

Del resto, se approfondiamo la questione, come è possibile trovare un punto di equilibrio con il diritto alla vita e alla salute? Forse accettando un numero limitato e “ragionevole” di decessi e di malattie? A questo proposito, nella sua prima ordinanza di sequestro del 2012, il Gip di Taranto evidenziava giustamente che, in tal modo, “si arriverebbe all’assurdo giuridico di operare delle comparazioni fra il numero di decessi accettabili in relazione al numero di posti di lavoro assicurabili. Le più elementari regole di diritto e soprattutto del buon senso vietano un simile ragionamento”. E, sia chiaro, nel caso in esame non si tratta di pericolo, ma di certezza. Uno studio effettuato nel 2021 dall’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità), su richiesta della regione Puglia per una valutazione predittiva del danno sanitario provocato da Ilva, concludeva che se anche si realizzassero le opere di contenimento che già da anni si sarebbero dovute attuare rimarrebbe, comunque, un rischio inaccettabile di mortalità (con quantificazione dei decessi), anche negli scenari più favorevoli. In questo quadro, quale “bilanciamento” è possibile? 5 morti invece di 500?

E’ veramente una vergogna. Tanto più che ci viene proposta pochi mesi dopo che il nostro Parlamento ha aggiunto all’articolo 9 della Costituzione che “la Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi anche nell’interesse delle future generazioni” e all’articolo 41 che “l’iniziativa economica privata non può svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla salute e all’ambiente”.

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