Francia a ferro e fuoco per le pensioni, l’opposizione va all’assalto del govenro

La Concorde, dove ai tempi della Rivoluzione si stagliava la sagoma delle ghigliottina, diventa ora un luogo simbolo della rivolta contro la riforma delle pensioni voluta da Emmanuel Macron: dopo il raduno improvvisato di giovedì sera per protestare contro la decisione del governo di scavalcare il Parlamento e i gravi scontri che ne sono seguiti, la storica piazza è tornata ad essere il centro della contestazione. Gruppi di manifestanti, molti giovani, e sempre più «gilet gialli» si sono concentrati nella più grande piazza parigina. A poche decine di metri, dall’altra parte della Senna, la blindatissima Assemblée Nationale, dove il governo ha sfidato la rabbia popolare imboccando la scorciatoia della «fiducia» per far passare una legge che impone l’aumento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni, invisa al 70% dei francesi.

La fiammata di proteste di giovedì sera si era conclusa a tarda notte con gravi danni e oltre 300 fermi in tutto il Paese, 258 soltanto a Parigi. Ma sembra soltanto l’inizio di un’altra stagione di rivolta e proprio per questo le autorità appaiono preoccupate dalla ricomparsa di molti leader dei «gilet gialli» tra i manifestanti.

Sul fronte politico, si affilano le armi per lo scontro di lunedì, quando le opposizioni tenteranno di ottimizzare l’ultima opportunità istituzionale loro rimasta: far cadere il governo di Elisabeth Borne. Che, nella caduta, trascinerebbe con sé anche la detestata riforma. Per ora sono state presentate due mozioni di censura: una del Rassemblement National di Marine Le Pen, che non raccoglierebbe i voti della gauche; l’altra – più strategica – da parte del piccolo gruppo di deputati indipendenti Liot. L’ha subito sottoscritta anche l’alleanza di gauche, Nupes, con conseguente ritiro della mozione dei melenchoniani de La France Insoumise, che hanno desistito per indirizzare il massimo dei voti su quella di Liot.

L’obiettivo resta molto difficile, poiché anche facendo il pieno di voti da Marine Le Pen a Jean-Luc Mélenchon, e aggiungendo una quota di Républicains «disobbedienti» ai vertici alleati del governo, si resta piuttosto lontani dai 287 voti necessari: mancherebbero fra i 25 e i 15 voti, stando agli ultimi conteggi diffusi dal sito di Le Figaro. Sul terreno, i leader sindacali hanno già dichiarato un’altra giornata di mobilitazione per giovedì prossimo, sperando di invertire la tendenza delle ultime settimane al calo di partecipazione.

I settori in cui lo sciopero «ad oltranza» dichiarato il 7 marzo sta ancora funzionando sono soprattutto quelli della nettezza urbana (10.000 tonnellate di immondizia infestano Parigi, anche se da oggi sono partite le precettazioni) e quello dell’energia. La Cgt, uno dei sindacati più importanti, ha annunciato il fermo della raffineria TotalEnergies di Normandia. Messo fuori servizio dai dipendenti anche il più grande stabilimento di stoccaggio di gas d’Europa, quello di Chémery: il flusso è stato ridotto a 70.000 metri cubi all’ora, «tecnicamente il minimo per non danneggiare le macchine». E a Edf (Eléctricité de France) restano i picchetti, con blackout «mirati». Il resto, anche se con qualche disagio, continua a funzionare, compresi i trasporti che sono tradizionalmente il settore che mette in ginocchio il Paese e che stavolta ha un tasso di aderenti allo sciopero che non crea troppi disagi. Coda dei disordini della vigilia, in mattinata sul Périphérique, la tangenziale di Parigi, gruppi di aderenti della Cgt hanno bloccato a più riprese il traffico, sempre molto denso nelle prime ore della giornata. Oltre i proclami dei sindacati – finora rimasti sempre un blocco unitario – si è spinto Mélenchon, che oggi ha «incoraggiato» le «mobilitazioni spontanee in tutto il Paese».

Con la decisione di scavalcare il Parlamento «abbiamo raggiunto il nostro obiettivo – ha rincarato – questo testo non ha alcuna legittimità, chi si ribella ha ragione».

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