Maria Grazia Cucinotta: «Io, dislessica di successo. Stavo per fare la postina, ora divento regista»

Tutti se la ricordano – un po’ snobbandola – per Il postino del 1994 con Massimo Troisi, e adesso per lo spot dell’acqua con l’uccellino sulla spalla. Maria Grazia Cucinotta, però, è una di quelle attrici che in 37 anni di carriera ha fatto di tutto: un film di James Bond come Il mondo non basta di Michael Apted (come killer si vede solo nei primi minuti, ma al posto suo c’è chi avrebbe pagato), un altro con Woody Allen (Ho solo fatto a pezzi mia moglie di Alfonso Arau), una serie tv come I Soprano, il debutto in teatro a cinquant’anni con Figlie di Eva (con Michela Andreozzi e Vittoria Belvedere), alcune produzioni di film in Cina, e tante battaglie in favore delle donne maltrattate, quelle con il tumore al seno (con l’associazione Komen), quelle detenute (con Per Ananke). Queste ultime, nel carcere romano di Rebibbia, le aiuta in ogni modo a mettere in scena degli spettacoli. Ha iniziato nel 2018, dopo aver visto una loro versione in carcere – indovinate un po’ – del Postino.

Non s’è stufata di quel film?
«Per niente. Il 19 febbraio sono anche stata a San Giorgio a Cremano, il paese dove Massimo è nato e cresciuto, per festeggiare i 70 anni dalla sua nascita. Hanno fatto un murale enorme con una nostra scena, erano tutti affacciati alle finestre: è stato bellissimo. E poi, guardi, io i postini ce l’ho nel dna». 

Suo padre, suo fratello, sua sorella e sua nipote tutti postini, giusto?
«Esatto. Avrei dovuto fare quel lavoro anch’io, avevo superato la selezione. Poi nel 1987 mi presero a Indietro tutta di Renzo Arbore e rinunciai. Mio padre non la prese tanto bene. Ma quella vita non faceva per me. Mi buttai con un misto di incoscienza, presunzione e ignoranza. Venivo da zero, e nulla avevo da perdere. Mi è andata bene».

È ancora un po’ incosciente?
«Ogni tanto. A 50 anni ho fatto il mio primo tour teatrale, io che soffro gli impegni quotidiani. E nel 2007, sono andata in Cina – dopo dieci anni in America – a fare la produttrice e l’attrice senza conoscere nessuno».

L’impegno da produttrice è durato poco, vero?
«Sì. Produrre è un lavoro durissimo, che in Cina diventa estremamente complicato. Ho annaspato. Ho investito soldi miei».

E alla fine ha guadagnato?
«No. Solo un po’ di gloria per aver fatto cose belle, ma da imprenditrice non posso dire di aver avuto successo. Ora lavoro con Corrado Zollini, che fa il produttore meglio di me. Abbiamo progetti anche per una regia».

Sta dicendo che debutterà come regista di un film?
«Sì. Stiamo chiudendo l’accordo per i diritti di un libro meraviglioso, una storia internazionale di seconda opportunità e salvezza. Il cinema è anche questo. Io ne sono la prova». 

Salvata da chi o da cosa?
«Con un lavoro qualsiasi non ce l’avrei mai fatta. Non avevo una famiglia alle spalle e, come dislessica, a scuola andavo male. Parlare davanti agli altri per me era un incubo».

E i primi film come li ha fatti?
«Non lo so, era una tortura. Ma aiutavo i miei a livello economico, non potevo mollare. Per quello ho lottato contro me stessa. Ricordo le orecchie che mi pulsavano e diventavano bordeaux dalla vergogna. Nel 1992 al Tg delle vacanze di Gaspare e Zuzzurro, su Canale 5, non riuscivo a parlare. Loro capirono e mi aiutarono. Come Troisi due anni dopo. Non mi fecero mai sentire handicappata, incapace, o ignorante».

Quando ha saputo di essere dislessica?
«Tardi, a 24 anni. Da ragazzina pensavano che avessi problemi cognitivi. Me l’hanno diagnosticata in America, dopo Il postino, quando studiavo inglese». 

In pratica che problemi ha?
«Sbaglio le finali, inverto le vocali, e mentre parlo – se mi distraggo – i binari con le parole si incrociano e faccio fatica a rimetterli in linea. Per questo faccio sempre esercizi mentali e gesticolo per tenere il tempo». 

L’inglese l’ha imparato?
«Sì. Ho fatto più fatica con l’italiano quando non sapevo di essere dislessica. In cinese so presentarmi, ma in un ristorante è meglio se non ordino…».

È vero che nel 2021 in Cina ha girato un documentario sui cent’anni del Partito comunista cinese? 
«Sì, durante il lockdown, esperienza meravigliosa. Prima ho passato ventotto giorni in quarantena chiusa dentro una stanza, da sola. Cosa che mi è piaciuta. Le riprese sono durate tre mesi: ho ripercorso tutte le tappe fondamentali della vita di Mao e del partito».

L’hanno pagata bene?
«Come un film».

Un santino in salsa comunista, sia sincera.
«L’ha commissionato il governo, un po’ di propaganda c’era. È anche vero, però, che ho raccontato una grande verità: la Cina ha deciso di eliminare la povertà e c’è riuscita. Dalla mia prima volta lì, sedici anni fa, è cambiato tutto in meglio. Ognuno ha una casa, un terreno, un lavoro e vive dignitosamente. A me piacciono perché lavorano H24 e hanno un’educazione militare. Da loro la disciplina fa andare ogni cosa bene».

In Cina c’è una dittatura.
«Sì, lo dicono anche loro, ma vivono liberi».

Le due cose non vanno bene insieme.
«Certo, ma sono tranquilli e non hanno paura. Io lì giorno e notte vado ovunque senza mai temere di essere aggredita, derubata, violentata. Da noi possiamo dire lo stesso?».

Parliamo d’altro: come mamma è stata un po’ cinese?
«Sì, sono stata rigida con mia figlia Giulia. Perdersi è un attimo, e sono stata attenta a tutto. Sono una “control freak”, una maniaca del controllo».

Dopo 37 anni di carriera lo può dire: perché c’è sempre stata un po’ di diffidenza nei suoi confronti? 
«Ero una ragazzina timida e sola, circondata da persone che pensavano solo a guadagnare grazie a me. Ho commesso sbagli pazzeschi, come rifiutare tanti film in America per paura di non essere all’altezza. E così ho fatto credere di essere chiusa, poco disponibile e per niente sorridente. Io che sono l’antidepressivo di amici e parenti».

Sia sincera: quanti soldi ha preso per gli spot degli integratori per la menopausa?
«Non l’ho fatto per denaro ma per dare un messaggio importante alle donne: la vita non finisce con gli ormoni, non siamo da rottamare, invecchiare è un privilegio. Godiamoci la vita».

Adesso come si sente?
«Come una jena (ride). Ho un’esperienza che non avevo a 20 anni, sono più tranquilla e disinibita, anche a livello sessuale».

Addirittura?
«Sì. Non penso più a cosa metto, dico, o voglio. Magari mi prendo in giro da sola ma non mi faccio più prendere in giro. Sono gli uomini che a 50 anni hanno bisogno di far sentire il loro cervello basso ancora giovane e cercano le ragazzine».

A lei è successo?
«Sì. Siamo sposati dal 1995 (lui è Giulio Violati, imprenditore, ndr), ma gliel’ho fatto passare subito (ride)».

La famiglia di suo marito in passato era proprietaria di alcuni marchi di acqua minerale – Ferrarelle, Sangemini etc. – e lei adesso fa la pubblicità di un’acqua: vecchi legami?
«No. Il gruppo è stato venduto e quella che pubblicizzo non è mai stata loro».

La prossima sfida?
«Perdere 8 chili. Per il film Adesso gli agnelli possono pascolare in pace di Beppe Cino mi volevano più rotondetta. Comincio domani la dieta. Speriamo bene».

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