Migranti, il governo rivendica il sostegno Ue sulle frontiere esterne. Ma il prezzo di un fallimento del piano sarebbe tutto a carico dell’Italia

“La Francia aiuterà l’Italia a tenere la sua frontiera per impedire alla gente di arrivare, ma per quelli che sono arrivati in Italia dobbiamo applicare le regole europee che abbiamo adottato qualche mese fa che consistono nel fare le richieste d’asilo alla frontiera”. Quella del ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin è forse la migliore risposta a chi si domanda quale sia la direzione dell’Europa nella partita sull’immigrazione: sostegno ai Paesi di primo ingresso sulla cosiddetta dimensione esterna, in particolare nel Mediterraneo, ma rigida applicazione di regole che aumentano ulteriormente gli oneri per gli Stati di frontiera. E che viste dall’Italia sembrano cambiali che tutti, dalla Francia alla Germania, non intendono certo abbonarci qualora la dimensione esterna dovesse naufragare, come già sta facendo sulle coste tunisine tanto che gli sbarchi sono ormai 130mila, di cui oltre 50mila registrati dopo la firma del memorandum d’intesa siglato tra Ue e Tunisia il 16 luglio scorso.

È vero, il francese Darmanin intende correre alle presidenziali del 2027 contro la leader di Rassemblement National Marine Le Pen, appena rientrata dal pratone di Pontida. Per questo in Francia lo accusano di rincorrere la destra con ricette populiste che sull’immigrazione puntano soprattutto ad aumentare i rimpatri di chi non ha ottenuto l’asilo assicurando la difesa delle frontiere esterne, tema che il governo Meloni ha messo al centro del dibattito europeo assicurando che gli obiettivi dell’Italia sono quelli espressi anche nelle conclusioni del Consiglio Ue. Insomma, che l’interesse a bloccare le partenze dall’Africa è di tutta l’Unione. Il punto è proprio questo: qual è l’interesse di Paesi come Francia e Germania, con un numero di richieste d’asilo che supera quelle presentate in Italia e alle prese con i crescenti consensi delle destre?

Meloni può dirlo, il paradigma è cambiato. O meglio, l’Europa sembra voler istituzionalizzare una strategia che già perseguiva, anche se a macchia di leopardo e con accordi informali, compreso quello siglato con la Turchia per arrestare il flusso a oriente. E’ la cosiddetta esternalizzazione delle frontiere, strategia per delegare ai Paesi extra Ue la gestione dei flussi. I rischi non mancano, a partire dall’arma di ricatto che viene consegnata a regimi che non rispettano i diritti umani. C’è poi il rischio che non rispettino nemmeno la parola data, ma l’Europa sembra intenzionata a correrlo o quanto meno a farlo correre al governo italiano che nella scommessa sulla dimensione esterna si gioca tutto. All’indomani del Consiglio Ue Affari Interni dello scorso 8 giugno, Meloni commentava soddisfatta gli “oggettivi passi avanti”. “Finché ci occupiamo di movimenti secondari scarichiamo il problema ma non lo risolviamo, il modo per risolvere il problema è difendere i confini esterni, una visione ormai condivisa dagli altri Paesi europei”, dichiarava.

Nelle stesse ore Meloni esprimeva soddisfazione anche per l’imminente viaggio in Tunisia con la presidente della Commissione Ue Ursula Von del Leyen e il primo ministro olandese Mark Rutte. Pochi mesi dopo, il memorandum con la Tunisia, pietra angolare della strategia nella difesa dei confini, sembra naufragare contro le ultime dichiarazioni del presidente Kais Saied che ribadisce di non accettare veti e del resto non ha ancora visto un euro. E mentre Tunisi ha appena impedito a una delegazione del Parlamento europeo di entrare nel Paese, l’Italia si affanna a descrivere la Tunisia come un Paese sicuro e Saied come un leader rispettoso dei diritti delle minoranze, accusando chi si oppone all’accordo di remare contro gli interessi europei. La verità è che la partita tunisina rimane un gioco d’azzardo, una corda tesa tra la questione dei diritti umani che in Europa ancora qualcuno difende e i soldi, tanti, che dovranno entrare nelle casse di Tunisi per farne un altro alfiere della fortezza europea.

Ma questo basta a mettere tutti i Paesi sullo stesso piano. Non va dimenticato che Francia, Germania e altri non sono Paesi di primo ingresso. Comunque la pensi Meloni, il loro problema rimangono i movimenti secondari, quelli dei migranti entrati in Italia per proseguire verso il Nord Europa, che resta la meta per la maggior parte dei richiedenti asilo. Nei primi sei mesi del 2023, le richieste di protezione in prima istanza sono state 62mila in Italia, il 12% di quelle presentate in Ue, mentre in Francia sono state il 16% e il 30% in Germania con 154mila richieste. Per questo l’impegno del Consiglio Ue a collaborare sul controllo delle frontiere esterne è stato incassato dall’Italia in cambio di una serie di cambiali. Innanzitutto il regolamento di Dublino, che nell’accordo proposto dal Consiglio Ue a giugno, e tuttora in discussione, resta invariato. Anzi, la responsabilità dell’esame delle domande in capo ai Paesi di primo ingresso si allunga da 12 mesi a 24, raddoppiando il tempo entro il quale l’Italia dovrà riprendersi i migranti che dopo lo sbarco hanno raggiunto altri Paesi Ue. E tenerseli, visto che in cambio della “dimensione esterna” abbiamo rinunciato a qualunque redistribuzione di richiedenti e rifugiati per quote, che nell’accordo del Consiglio Ue è prevista ma non è obbligatoria. I Paesi che non vogliono accogliere migranti possono infatti cavarsela pagando un contributo economico ai Paesi di primo ingresso.

Non è tutto. Si vuole introdurre la procedure di frontiera, un iter accelerato, e probabilmente sommario, da concludere entro 12 settimane dalla presentazione della domanda. Si applicherà automaticamente a tutti gli ingressi irregolari, anche in seguito a un’operazione di ricerca e soccorso in mare o se il migrante arriva da un Paese per cui le domande d’asilo accolte non superano il 20%, anche se si tratta di famiglie con minori. L’effetto di quest’altra cambiale? L’aumento di persone migranti sul territorio italiano, rinchiuse nei centri di detenzione alle frontiere esterne, impossibilitate a proseguire nel loro viaggio verso altri Paesi Ue alla faccia di chi sostiene che “se entri in Italia, entri in Europa”. Tutti in Italia perché l’Italia si è obbligata a gestire tutti quelli che entrano, fino all’esito dell’esame della domanda d’asilo. E poi? Il Consiglio Ue ha promesso sostegno anche per i rimpatri, ma si tratta di un orizzonte distante e improbabile perché passa dalla collaborazione dei Paesi d’origine. Nel frattempo, tra nuovi hotspot per trattenere alle frontiere tutti quelli sbarcati illegalmente applicando la procedura accelerata e centri di permanenza e rimpatrio per quanti otterranno un diniego, si tratta di costruire un sistema concentrazionario in grado di detenere decine di migliaia di persone (130mila gli sbarchi ad oggi), costoso e dalla dubbia efficacia.

La procedura di frontiera, in parte anticipata dal decreto Cutro del nostro governo, non è ancora legge dell’Unione europea. Ma il fatto che il ministro francese già tenti di riscuotere la cambiale la dice lunga sul clima europeo da liberi tutti. Se Meloni perde la scommessa sul Nord Africa non le serviranno certo trovate come l’allungamento della detenzione amministrativa nei Cpr. E’ già stato fatto, sempre fino a 18 mesi, come del resto la direttiva Ue già prevede e tuttavia solo per casi particolari (art. 15). Ma la quota di rimpatri è sempre rimasta la stessa, intorno al 50%, che significa mai più di 3.000 persone rimpatriate all’anno. E sempre le stesse: per lo più tunisini, qualche centinaio di albanesi, di egiziani e il resto è nell’ordine delle decine, anche quando al Viminale c’era Salvini che di rimpatri ne prometteva 500mila. Perché per rimpatriare qualcuno ci vogliono accordi con i Paesi d’origine, e quelli che funzionano si contano sulle dita di una mano. Certo, il Consiglio Ue ha aperto alla possibilità per gli Stati membri di stringere accordi, anche con Paesi terzi di transito oltre che di origine, per espellere chi non ha ottenuto l’asilo. E’ quello che Meloni proponeva a Saied, che però ha declinato sdegnato ribandendo nel testo del memorandum che si riprenderà solo i tunisini.

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