La Juventus vince la Coppa Italia: un gol di Vlahovic e l’Atalanta va ko all’Olimpico
Il bel gioco di Gasperini, il progetto di Percassi, l’anno meraviglioso della Dea. Ma alla fine ha vinto ancora la Vecchia Signora. E quella volpe di Allegri. Che sarà pure bollito, impresentabile, ormai a un passo dalla porta dove l’ha accompagnato tutto il mondo Juve. Ma le finali sa come si giocano, i trofei come si vincono. Mentre l’Atalanta di Gasperini ne perde un’altra, la terza in cinque anni dopo quelle del 2019 e del 2021. La Coppa Italia 2024 è della Juventus: 1-0, all’Olimpico decide un gol di Dušan Vlahović, l’uomo del presente e anche del futuro, su cui costruire la squadra che verrà.
Un trionfo meritato, molto più rotondo di quanto dica il punteggio finale, perché le occasioni migliori le hanno avute quasi tutte i bianconeri. Allegri ha imbrigliato per tutti i novanta minuti il genio di Gasperini. L’ha vinta a suo modo, ovviamente con la difesa, ma mai come stavolta anche con il contropiede, quello vero, propositivo, finendo per dominare tatticamente la partita. Una delusione per l’Atalanta. Al netto dei discorsi sempre validi sul monte ingaggi e la diversa potenza economica delle due società, questa è la prima volta in cui i bergamaschi arrivavano forse da favoriti a una finale. Contro la Juve. Il che la dice lunga sulla bontà del lavoro fatto da Gasperini negli ultimi anni. Proprio per questo, averla persa è un peccato mortale.
È l’entusiasmo ad aver tradito l’Atalanta. La voglia di vincere, o forse la paura di perdere, la scarsa esperienza. Comunque sia andata, pronti via e dopo cinque minuti la Juve è già in vantaggio: con una bella combinazione ad elastico tra Vlahović e Cambiaso, che libera solo davanti al portiere il centravanti serbo, bravo ad evitare il rientro di Hien e battere il portiere in uscita. È il gol che indirizza la gara e alla fine la deciderà pure. Allegri non chiedeva di meglio: il vantaggio immediato e il ritmo esaltano il contropiede bianconero. Al solito baricentro basso, con anche 11 uomini dietro la linea della palla, stavolta si accompagna un pressing feroce, ripartenze rapide e persino qualche virtuosismo nel palleggio. È quasi spettacolo, merce rara quando c’è di mezzo la squadra di Allegri.
L’Atalanta accusa il colpo, sbaglia tantissimo e per tutto il primo tempo non tira quasi in porta: l’unica conclusione di Pašalić viene murata prima da Gatti. Senza Scamacca squalificato, Gasperini aveva provato a togliere punti di riferimento con la coppia leggera De Ketelaere–Lookman. Non funziona e nella ripresa si presenta con Tourè, una punta vera, al posto del belga. Qualcosa cambia, la difesa della Juve si fa sempre più bassa. Ma anche la linea dell’Atalanta si alza, fin troppo, lasciando praterie alle sue spalle, in cui scappa sempre l’imprendibile Vlahović: prima Hien, ancora in ritardo, rischia tantissimo con una spallata che è più che altro una sbracciata; poi para Carnesecchi in uscita. Alla terza occasione, su un traversone dalla trequarti, il serbo raddoppierebbe pure di testa ma è in fuorigioco millimetrico. La manovra di Gasperini continua a sbattere sulla retroguardia bianconera, Danilo e compagni svettano su tutti i cross e al centro non c’è spazio. La Juve invece colleziona contropiedi, le chance sprecate cominciano a diventare troppe. L’Atalanta rimane miracolosamente attaccata alla partita. Quasi la riprende, col destro di Lookman che scheggia il palo, e poi nel recupero, con la prima parata di Perin su Ederson, decisiva. Ma intanto c’era stata anche una traversa clamorosa di Miretti, tanto per ribadire come i bianconeri abbiano davvero meritato.
Per l’Atalanta è una lezione pesante, in vista dell’altra finale che giocherà in Europa League contro il Bayer Leverkusen: la più importante, ma anche la più difficile. Intanto la Juventus torna a vincere un trofeo, tre anni dopo la Coppa Italia del 2021 firmata da Pirlo. E chiude così in bellezza il secondo ciclo di Allegri, il più controverso. Se divorzio sarà, come tutto lascia presagire, Allegri lascia da mattatore assoluto: senza giacca, cravatta e quasi la camicia, strappata nell’impeto di rabbia prima del fischio finale. Con un trofeo in bacheca, che gli permetterà di dire di aver salvato la stagione. Ammesso che qualcuno ci caschi.
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