Cda Rai, vertice tra Meloni, Salvini e Tajani per sbloccare lo stallo: i nodi pubblicità e canone

Da Washington a Mazzini. Ecco la trasvolata atlantica di Giorgia Meloni. Perché ora che torna dall’America deve mettere testa, e dicono nel centrodestra che ha deciso di metterla, sullo stallo Rai, uno dei principali rompicapo vigenti. Meloni, Tajani e Salvini la prossima settimana potrebbero vedersi – secondo fonti governative – per tentare di scongiurare il rinvio sine die del voto in Vigilanza per il nuovo Cda della tivvù pubblica. Riusciranno i tre amigos a dare una governance prima di agosto, ed evitare che il dossier venga rinviato a dopo l’estate, mettendo fine alla prorogatio del Cda scaduto a maggio? Lo stallo Rai può avere conseguenze industriali e produttive molto negative, perciò dentro la corporate e tra i dirigenti c’è ansia per questa fase di totale confusione su tempi e nomi che riguardano il futuro dell’azienda.

Nella nebbia su Mazzini il voto del Cda potrebbe slittare ad ottobre, a poi ancora oltre perché il 23 di quel mese il Tar entrerà nel merito del ricorso presentato da Nino Rizzo Nervo, Roberto Zaccaria, Giuseppe Giulietti e compagnia (tra i ricorrenti c’è il professore Giulio Enea Vigevani, avvocato tostissimo che ha difeso con successo il sovrintendente del teatro San Carlo di Napoli, Claude Lissner sollevato dall’incarico per far posto a Carlo Fuortes ex ad Rai) a proposito delle modalità di scelta dei candidati al Cda. E potrebbero essere tuoni e fulmini. Darsi quindi una mossa? Sì, diranno i tre leader a consulto, se avranno superato nel frattempo i principali problemi che li dividono. Forza Italia è indisponibile, perché tutto il comparto industriale della tivvù a cominciare da Mediaset ne risentirebbe pesantemente, ad allargare la fetta della torta pubblicitaria a beneficio della Rai per compensarla della riduzione delle entrate derivante da un ulteriore taglio del canone a cui mira la Lega che lo ha promesso ai suoi elettori.

Meloni si rende conto che lo stallo non conviene a nessuno e potrebbe a questo punto approfittare dell’ultima finestra possibile, a fine luglio, prima della pausa estiva del Parlamento, per chiudere la partita. Oltretutto, il Pd è sul piede di guerra su questo tema. «Loro per un fatto di poltrone – dice Stefano Graziano, capogruppo dem in Vigilanza – stanno paralizzando la Rai. Che non può programmare e non può produrre se non viene presa sul serio, rispettata e rilanciata come si deve senza guerricciole di potere interno al centrodestra. Per ora stanno solo distruggendo un patrimonio. Già la Lega, riducendo il canone, ha tolto 440 milioni di incassi, che per un budget aziendale di 2 miliardi sono tantissimi, e ora per il 2025 il Carroccio lo vuole abolire del tutto. Il che significherebbe che da 600 milioni il debito della Rai arriva a un miliardo».

I NODI DA SCIOGLIERE

Nel vertice dei tre leader, se si farà, e prima di quel summit i nodi da sciogliere sono diversi. Quello del dg è assai rilevante. Roberto Sergio, ad uscente, è ancora in corsa in virtù del patto della staffetta stretto lo scorso anno con il dg uscente e probabilissimo ad entrante, ossia il meloniano Giampaolo Rossi. Ma in pole position ci sono anche Maro Brancadoro, super-dirigente dei conti e delle infrastrutture Rai, e Felice Ventura che è l’attuale capo del personale. E quindi, alla Lega, niente? Salvini, nello schema ad Rossi per Meloni e presidente Agnese per Forza Italia, sta stretto assai. In un accordo più generale potrebbe avere, ma anche no e il braccio di ferro chissà come finirà, la promozione a dg di Marcello Ciannamea, ora potentissimo direttore del Prime Time (che significa anzitutto Sanremo e non solo Sanremo) o, meno probabile, di Antonio Marano che dovrebbe però lasciare la carica di al vertice delle olimpiadi Milano-Cortina.

La partita Rai ha dunque mille implicazioni, e mille livelli di gioco. Quale gioco giocare, in questo guazzabuglio, Elly Schlein non lo ha ancora deciso. Sta studiando la pratica e vedendo se le conviene la via entrista, ovvero non cedere il posto in Cda a Roberto Natale dei rosso-verdi ma avere una vice propria, autorevole e forte; oppure se optare, come sembrerebbe, per l’auto-esclusione dal «banchetto Rai» («Non abbiamo presentato nomi per il Cda. E quando dico che serve una riforma che renda la Rai indipendente lo dico sul serio»). Questa seconda via, la strada super-combat le permetterebbe di prendere a bersaglio il servizio pubblico da qui alle elezioni del 2027, come sta facendo sul caso RaiNews in sintonia con l’Usigrai, ed è la tentazione più forte.

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