Guerra Ucraina, Stefanini: «Le armi Nato avranno effetti immediati. A Kaliningrad ci sono i missili Iskander russi, possono raggiungere Berlino»

Percorso “irreversibile” di Kiev verso la Nato e un robusto pacchetto di nuove armi da usare per difendersi dall’aggressività di Putin. È questo il risultato del vertice Nato?

«Il problema era duplice, perché da una parte bisognava assicurare all’Ucraina il percorso verso la Nato, ma tenendo conto che non lo si può completare con le ostilità in atto, dall’altra blindare e adeguare quanto più possibile l’assistenza militare a guerra in corso ai possibili cambiamenti nel caso in cui Trump dovesse vincere le elezioni».

Un vertice che oltre l’aspetto celebrativo dei 75 anni, per l’ambasciatore Stefano Stefanini, già rappresentante d’Italia presso la Nato e consigliere diplomatico del Presidente Napolitano, si presentava «con incognite che i leader riuniti a Washington non possono risolvere».

È sufficiente l’aiuto garantito all’Ucraina?

«Un finanziamento di circa 40 miliardi di dollari per un anno è inferiore a quanto si pensava inizialmente, un orizzonte quinquennale anche se con una cifra per anno più bassa. Probabilmente si è arrivati alla conclusione che un impegno di 5 anni è troppo complesso, i bilanci degli Stati sono annuali e gli aiuti sono forniti non dalla Nato ma dai singoli paesi. Almeno in parte, il coordinamento che prima era svolto dal Pentagono, viene ora ricondotto al quartier generale Nato di Ramstein. Un conto è parlare di cifre, un altro assicurarsi che le “fette” fornite dai vari paesi si integrino l’una con l’altra senza duplicazioni o problemi di forniture di mezzi o munizioni. Si è voluta così svincolare l’assistenza militare dall’incognita Trump, anche se già ora i collaboratori dell’ex Presidente dicono che di irreversibile non c’è nulla».

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È comunque di un passo avanti verso l’adesione di Kiev?

«Sì. Il processo, con alti e bassi, è cominciato nel 2008. Importante è pure l’addestramento e la preparazione alla membership Ucraina, anche se si è voluto evitare il termine ‘missione’, considerato provocatorio verso la Russia…».

Le armi basteranno?

«Una fornitura di quella entità sicuramente è sufficiente, visti gli effetti quasi immediati che vi sono già stati. L’avanzata russa praticamente è stata fermata. Su un periodo più lungo rientrano altri fattori, come la creazione di un’industria di difesa in Ucraina a cui dovrebbe dare un contributo importante la UE, attraverso uno sportello con interventi pubblici per rafforzare la capacità dell’industria militare europea nel suo complesso».

Il segretario generale designato della Nato, il premier olandese Mark Rutte, si prepara a subentrare al norvegese Stoltenberg.

«Rutte è persona di grande esperienza, per molti anni primo ministro, conosce la UE e la Nato, governava quando fu abbattuto dai ribelli russi del Donbass il volo della Malaysia Airlines con 298 persone a bordo, più della metà olandesi. Rispetto a Stoltenberg, ha il vantaggio di provenire da un Paese dell’Unione europea, in una fase in cui la Ue conta sia sul piano militare, sia su quello industriale della capacità di difesa europea. Rispetto all’Ucraina, il ruolo della Ue non è meno importante, oggi, di quello della Nato».

Poi c’è la proposta di un inviato speciale della Nato per il fianco Sud…

«È importante per l’Italia, che punta sull’Africa con il Piano Mattei e che ha sempre sostenuto l’idea della Nato a 360 gradi, che tuteli dalla minaccia russa a est ma abbia anche potenzialità di difesa sul Mediterraneo. E se l’inviato sarà italiano, tanto meglio, purché l’Italia presenti un candidato con esperienze e qualifiche credibili».

Arriviamo al tema della Difesa europea in sé?

«Ci sono Paesi in Europa che si sentono minacciati più di altri. Il fattore determinante è la geografia. Si pensa di solito ai paesi confinanti con la Russia: i Baltici, la Polonia… Ma si dimentica che a Kaliningrad, enclave russa tra Polonia e Lituania, i missili Iskander possono portare testate nucleari, che secondo alcuni già ci sono, e raggiungere Berlino».

Questo è anche il vertice con il Presidente Biden…

«Non è compito dei leader Nato giudicare le condizioni del presidente USA. Saranno gli americani a trarre le conseguenze da un vertice che è sotto i riflettori dei media. È chiaro che per Biden il vertice è un test, ma interno, non nei confronti dei partner».

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