La sanità siciliana e il «balletto inqualificabile»: ora la denuncia di Schifani non resti fine a sé stessa
Non è usuale ascoltare un presidente della Regione che spara così ad alzo zero su un sistema che lui stesso è chiamato a governare. E quelle parole, cariche di rabbia e di una buona dose di frustrazione, pronunciate ieri all’indomani della chiusura del triste mercato delle vacche delle nomine in Sanità, si offrono a una duplice lettura, in base anche alla prospettiva, non solo politica, da cui vengono esaminate. Di primo acchito verrebbe da dire che l’ex presidente del Senato – abituato più alle sottili e ovattate diplomazie delle stanze romane in cui si muoveva perfettamente a suo agio che alla cruenta frontiera di un governo territoriale, tanto più se siciliano – peccherebbe quantomeno di ingenuità, davanti a un sistema perennemente uguale a se stesso, gattopardesco nella forma, spartitorio e speculativo nella sostanza.
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Ammettere di subire certe nefandezze può essere prova di debolezza ma anche chiave di volta per sganciarsi da certe logiche e saper reagire. Il coraggio del distinguo. A cui adesso però auspichiamo segua il coraggio della condotta. Lo ha detto nei giorni scorsi e lo mantenga: davanti a ospedali malfunzionanti, reparti obsoleti, pronto soccorso da terzo mondo, gestioni allegre, spese folli e liste d’attese infinite, i manager – e relativi colonnelli – che non mantengono gli impegni entro ragionevoli limiti di tempo devono andare a casa. A prescindere dal tesserino politico nascosto nel portafogli o dalla vicinanza personale al superburocrate dai poteri illimitati, che tesse e dispone più di un assessore. E allora crederemo alla bontà dell’ira di Schifani.
Il commento integrale del direttore Marco Romano sul Giornale di Sicilia in edicola
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