Paderno Dugnano, niente comunità per il 17enne. «Volevo uccidere tutti già la sera prima. Dopo gli omicidi ho chiuso loro gli occhi»

Anatomia di una strage raccontata da R., diciassette anni, che ha confessato l’omicidio della sua famiglia nella villetta di Paderno Dugnano. «Il primo che dovevo colpire era mio fratello», si legge nell’ordinanza di custodia cautelare. «Era sul letto, girato sul lato sinistro verso la finestra. La prima coltellata l’ho data alla gola, lui si è svegliato e ha urlato “papà”. Io gli ho tappato la bocca e gli ho sferrato altre coltellate. Sono andato in camera dei miei genitori. Hanno acceso la luce, io ero davanti a loro con il coltello in mano, mi hanno detto di stare calmo. Sono venuti in camera con me e li ho aggrediti».

I FENDENTI

Il massacro è compiuto. Sono le due di notte di domenica scorsa, il ragazzo nasconde l’arma sotto al cuscino, scende con l’intenzione di chiamare i soccorsi. Poi ci ripensa: «Sono tornato di sopra, ho preso il coltello e ho chiuso gli occhi a tutti». I fendenti inferti sono stati 68, «mia madre è stata la prima. Mio padre mi ha detto di lasciare il coltello e di allertare il 118». Ma quando Fabio C. gli volta le spalle per andare verso il letto del fratello lo aggredisce alla schiena, «siccome stava ansimando l’ho colpito alla gola perché stava soffrendo. Ho colpito ancora anche mia madre, perché non volevo soffrisse più». E quando in caserma, guardandolo negli occhi, il nonno gli chiederà il motivo per cui si sia accanito contro il fratello, il ragazzo risponde: «Non sarei riuscito ad abbandonarlo».

Per impugnare il coltello da cucina con il quale ha ucciso, R. usa una maglietta nera tagliata a metà, «avevo intenzione di pulirlo per far incolpare altri». L’idea iniziale ricade sulla madre, ma poi accusa il padre. Qualche ora prima nella villetta si era brindato al compleanno di Fabio, con i nonni, gli zii e i cugini. «È stata la sera della festa che ho pensato di farlo. Non avevo ancora ideato questo piano, però avevo pensato di usare comunque il coltello perché era l’unica arma che avevo a disposizione in casa», mette a verbale R. davanti al gip. Che riporta anche la sua prima versione fornita ai pm: «Già la sera prima volevo farlo ma non ero convinto, non me la sentivo. Il pensiero mi è rimasto dentro tutto il giorno, poi è esploso e l’ho fatto». Il movente della strage, riportano gli atti, sarebbe un confuso desiderio di rendersi «autonomo»: «Pensavo che distaccandomi dalla mia famiglia avrei potuto vivere in solitaria. Avrei voluto finire l’anno scolastico e poi non so. L’atto verso la mia famiglia mi avrebbe preparato a vivere». Tra i progetti vagheggiati c’era quello di andare ad abitare da solo e di combattere in Ucraina, il suo tormento era un senso di «estraneità» verso il mondo e la famiglia. Acuitosi, spiega, durante le vacanze estive in Puglia. In quel periodo R. leggeva libri sulla Seconda Guerra mondiale, «pensavo alle guerre e mi commuovevo riflettendo su queste situazioni, tutto ciò non lo vedevo in amici e famigliari». Troppo concentrati, a suo dire, sulle «cose materiali»: «Percepivo gli altri come meno intelligenti e ritenevo si occupassero di cose inutili, vedevano i problemi che io non vedevo». Racconta di quando la madre, durante una cena estiva al ristorante, abbia criticato un piatto di verdure ritenuto troppo esiguo per il prezzo pagato e «se la sentivo lamentarsi di qualcosa pensavo che c’erano altri che pativano sofferenze maggiori». Un disagio cresciuto nel tempo, già da qualche anno aveva maturato «l’idea di vivere più a lungo delle persone normali, anche per conoscere il futuro dell’umanità», così «ho cominciato a distaccarmi dalle persone e sentirmi un estraneo, perché nessuno lo avrebbe capito».

«PERICOLOSO»

I genitori intuiscono che qualcosa lo incupisce, «ogni tanto mi chiedevano se c’era qualcosa che non andava perché mi vedevano silenzioso, ma io dicevo che andava tutto bene». Un lento avvicinamento verso l’abisso. «Forse il debito di matematica può avere influito», ammette R., tuttavia è solo un dettaglio. «Nella mia logica credevo che dopo aver fatto una cosa del genere sarei stato più forte nell’affrontare la mia vita. Avrei voluto fare il volontario in Ucraina e forse dopo questi omicidi sarei stato più libero, avrei affrontato meglio la guerra». Ieri, dopo un’ora e mezza di interrogatorio, la gip Laura Margherita Pietrasanta ha convalidato l’arresto e disposto la custodia cautelare detentiva, evidenziando la «singolare ferocia e l’accanimento nei confronti delle vittime», ma anche la «preordinazione dei mezzi» e la «propensione a cambiare e “aggiustare” la versione dei fatti». Oltre alla «pericolosità sociale» e alla sua «incapacità a controllare i propri impulsi». Se libero, secondo il giudice, il ragazzo potrebbe uccidere ancora.

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