Libano, cosa sta succedendo? I tank, le truppe con i visori notturni e i bombardamenti «di copertura». E Hezbollah inizia ad arretrare

Spari dai carri armati e fuoco d’artiglieria, esplosioni, lampi a rischiarare il buio tra il rimbombare dei colpi. Soffia forte, nella notte del Medio Oriente, il vento della guerra. E ancora. Blindati, mezzi corazzati, truppe israeliane in assetto da combattimento, con tanto di visori notturni. La clessidra si è esaurita e, nel cuore dell’ultima sera di settembre, l’esercito di Israele è entrato in Libano con le truppe di terra per neutralizzare lo slancio di Hezbollah. «Un’operazione limitata», ha spiegato il Dipartimento di Stato americano. Coperti dai raid aerei, i colpi di artiglieria israeliana si sono registrati non lontano dai villaggi di Wazzani, di Khiam, Alma el Chaab e Naqura, nel sud del Libano. Sono le località che sorgono davanti alle comunità israeliane di Metulla, Misgav Am e Kfar Giladi, dichiarate chiuse dalle Forze di difesa israeliane al di qua del confine.

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La lunga notte

La tensione è altissima e, se possibile, continua a crescere con il trascorrere delle ore. Le truppe del partito sciita libanese si sono ritirate da diverse posizioni sul confine meridionale con Israele, attestandosi a una distanza di almeno cinque chilometri a nord della frontiera, da quella Blue Line che non è mai stata riconosciuta come confine ufficiale. I jet di Israele hanno bombardato con intensità diverse località nel sud del Libano: non soltanto la linea di demarcazione tra i paesi, ma anche la zona a nord di Tiro. Parallelamente, poi, il portavoce dell’esercito israeliano ha chiesto (in lingua araba) ai residenti di lasciare le case nella zona controllata da Hezbollah nel sud di Beirut nella concreta prospettiva di ulteriori attacchi. «Israele ha il diritto di difendersi contro Hezbollah. Quello che vogliamo vedere è una soluzione diplomatica, un cessate il fuoco», ha spiegato la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre. In serata è intervenuta anche la premier Meloni: «Una de-escalation a livello regionale è urgente e necessaria e l’Italia continuerà a fare la sua parte anche in qualità di Presidente del G7».
 Tel Aviv, aveva schierato i tank al confine con il Libano già nel pomeriggio e, nei giorni scorsi, aveva condotto una serie di incursioni di ricognizione ridotte con le forze speciali infiltrate nei tunnel, preparandosi all’operazione di terra. Era una questione imminente. In replica, poi, l’esercito libanese aveva riposizionato le truppe nel sud. Del resto i caschi blu di Unifil – la forza delle Nazioni Unite in Libano, cui aderiscono circa mille soldati italiani – erano stati costretti a fermare le attività di pattugliamento: al proposito, i militari italiani sono in «allarme 2», cioè hanno limitato al minimo gli spostamenti all’esterno della base. Sono in allerta all’interno, ma non sembra necessaria per ora l’entrata nei bunker.

 

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L’evoluzione

Il governo di Benjamin Netanyahu avrebbe avvertito gli Stati Uniti della prossimità dell’incursione, assicurando di aver pianificato un’azione «più contenuta» di quanto inizialmente previsto – e certo più di quella del 2006 – e soprattutto studiata per distruggere le infrastrutture militari di Hezbollah, capaci di minacciare il nord di Israele con il lancio di razzi e missili.
Va detto che, negli ultimi giorni, secondo il New York Times, si erano registrate diverse incursioni israeliane in Libano nell’ottica di un’operazione di terra su più vasta scala. I blitz erano serviti per preparare il terreno a una possibile invasione. I raid avevano l’obiettivo di raccogliere informazioni d’intelligence sulle posizioni di Hezbollah vicino al confine; e di individuare tunnel e siti militari del gruppo sciita, orfano del suo leader Hassan Nasrallah. E proprio il numero due di Hezbollah, lo shaykh Naim Qassem, ha annunciato ieri che i combattenti del Partito di dio sono pronti a «fare corpo a corpo» con Israele. «L’uccisione di Nasrallah è un passo importante, ma non sarà l’ultimo», aveva avvertito il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant.

L’impegno

La giornata, tra l’altro, era cominciata nel segno della violenza. Dal cielo di Beirut era piovuto, su un edificio del quartiere Cola, il fuoco di un drone esplosivo israeliano, lasciando una scia di almeno quattro morti. Un boato risuonato in tutta la città. Così, per la prima volta dal 2006, le forze di Tel Aviv avevano colpito il centro della capitale del Libano: fino a ieri, del resto, Israele aveva limitato i propri attacchi verso Beirut ai soli sobborghi meridionali. Tre elementi di spicco del Fronte popolare per la liberazione della Palestina erano stati uccisi, tra i quali il leader Nadal Abdel-Alel. E, subito, gli schermi delle televisioni locali avevano restituito le immagini di un condominio distrutto e di due corpi volati sopra un’auto, verosimilmente scagliati fuori dall’edificio per la violenza dell’onda d’urto. Si trattava di un appartamento della Jamaa al Islamiya, un gruppo sunnita libanese fiancheggiatore di Hezbollah, alleato di Hamas e, in particolare, accusato da Israele di aver partecipato al deflagrare della violenza contro il proprio esercito nell’area meridionale del Libano. A essere simbolico, tra l’altro, è proprio il quartiere di Cola, centrale, popolare e soprattutto spesso affollato di persone che utilizzano taxi e bus. Invece, in un attacco nel sud, era stato eliminato il leader di Hamas in Libano, Fateh Sherif Abu el-Amin. In serata, poi, lo scenario si è arroventato e le truppe di terra israeliane hanno varcato il confine.

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