Pensioni, bonus-malus per alzare l?età dell?uscita. Tfr e fondi: si va verso la riforma
Il campanello d’allarme, solo l’ultimo in ordine di tempo, lo ha suonato l’Inps. Nella sua ultima Relazione annuale, ha spiegato che i lavoratori italiani continuano a lasciare il lavoro troppo presto e con assegni ben più “generosi” di quelli pagati negli altri Paesi europei. L’età media di pensionamento in Italia, ha certificato l’Inps, è di 64,2 anni, contro un’età “legale” di 67 anni. Con la natalità che si ritrova il Paese (1,2 nati per donna, contro i 2,1 che sarebbero necessari a tenere stabile la popolazione), il sistema rischia seriamente degli «squilibri». Che serva un intervento lo sa bene il governo. E lo ha messo nero su bianco nel Piano strutturale di Bilancio, il documento esaminato venerdì scorso in consiglio dei ministri e che vincolerà per i prossimi cinque anni il governo italiano. A tema è dedicato un capitolo intitolato «Partecipazione al lavoro e prolungamento dell’età lavorativa». In realtà nel Piano il governo non scopre le carte. Però traccia una rotta. Il presupposto è che «l’allungamento della vita lavorativa costituisce una necessità» per «la sostenibilità dei sistemi previdenziali». Come si fa, però, a convincere le persone a posticipare la pensione senza dover aumentare ulteriormente l’età “legale” di uscita? Il sistema ipotizzato è un po’ quello del bonus-malus. O del bastone e la carota. Intanto, spiega il Piano, «sono allo studio del governo incentivi alla permanenza nel mercato del lavoro».
Sul tavolo c’è sicuramente il vecchio bonus-Maroni, dal nome dell’ex ministro leghista che ideò la misura. Chi ritarda il pensionamento può ottenere in busta paga anche i contributi che normalmente sono versati all’Inps. Si tratterebbe di ricevere per qualche anno un assegno più sostanzioso di circa il 30 per cento. Al contrario, invece, chi utilizza uno scivolo per lasciare il lavoro, subirebbe una penalizzazione.I due principali scivoli che saranno confermati il prossimo anno, sono Quota 103, ossia il pensionamento con 41 anni di contributi e 62 di età, e Opzione donna. Nel primo caso, chi anticipa l’uscita si vedrebbe ricalcolata la pensione con il metodo contributivo, subendo un taglio del 20-30 per cento sull’assegno. Taglio permanente. Inoltre prima di incassare la prima pensione, dovrebbe attendere 7 mesi se è un dipendente privato e 9 mesi se è un dipendente pubblico. Stesso discorso per Opzione donna. Anche in questo caso c’è il ricalcolo contributivo dell’assegno. Ma questo scivolo, va detto, ormai è riservato solo a pochi casi particolari: lavoratrici fragili, care giver o che fanno lavori usuranti. Di scivoli in giro, ormai, ce ne sono pochi. Anzi.
IL PASSAGGIO
Il Piano strutturale di Bilancio dice anche che, proprio in virtù della crisi demografica, il governo «si impegna a introdurre modifiche sui criteri di accesso al pensionamento».Difficile che l’età dei 67 anni, che tra l’altro è già destinata a salire perché legata in automatico alla speranza di vita, possa essere toccata. Ma nei mesi scorsi era circolata con insistenza la voce che il Tesoro avesse intenzione di alzare per tutti le finistre mobili, il tempo che intercorre dal pensionamento all’incasso della prima pensione. Oggi è di tre mesi. L’idea accarezzata era di portarlo a 6-7 mesi. Quello che effettivamente accadrà è legato molto al passaggio parlamentare. E alle richieste che arriveranno. Nei giorni scorsi il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, ha detto che diverse scelte le farà il Parlamento. Con l’avvertenza però, che qualsiasi spesa in più dovrà essere finanziata con il taglio di un’altra spesa nello stesso capitolo del Bilancio. Così, se si vogliono aumentare le pensioni minime, sarà probabilmente necessario tagliare le rivalutazioni per le altre.
Nel Piano strutturale di Bilancio c’è un altro passaggio importante che riguarda la previdenza complementare. Sarà riformata e, probabilmente, in profondità. Il ministro del lavoro Marina Calderone, da tempo ha chiesto di aprire una nuova finestra di silenzio-assenso per trasferire il Tfr ai fondi pensione. Accanto a questo verranno riviste le regole che portano alla trasformazione del montante accumulato nel fondo. Da qualche tempo è stato rilevato un problema. Gli iscritti usano i fondi come una sorta di Bancomat. Prelevano per comprare casa, per le spese dei figli, magari anche solo per comprare una macchina. Quando si arriva a fine carriera alla fine si è accumulato poco e così la funzione previdenziale si perde. La ragione però per cui gli aderenti ai fondi prelevano, è perché vivono il fondo pensione anche un po’ come una scommessa. C’è il timore che una premorienza faccia perdere le somme accumulate.
Insomma, meglio prendere prima il più possibile che rischiare di incassare un assegno pensionistico solo per qualche anno. Così si sta pensando di rivedere questo sistema, magari sostituendo la rendita vitalizia con una rendita temporanea trasferibile ai superstiti, in modo da far recuperare comunque tutte le somme investite nel fondo. Ma anche regolando diversamente i prelievi durante la fase di accumulo. Un modo per evitare che oltre a una pensione pubblica bassa, si abbia anche un assegno integrativo ai minimi termini.
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