Azar Nafisi e la lettura strumento di libertà
Leggere libri come strumento di libertà. Ma davvero la letteratura ha questo potere nella vita delle persone? Ne è assolutamente convinta Azar Nafisi, di recente ospite della Festa dei Libri e della Libertà della venticinquesima edizione di Pordenonelegge, dove ha ricevuto il Premio Crédit Agricole «La storia in un romanzo», giunto alla sua diciassettesima edizione. Nafisi è la scrittrice, docente e attivista iraniana, che da tempo vive negli Stati Uniti e sempre, nei suoi libri, assieme alla sua storia personale, ha raccontato la storia del mondo attraverso il potere della letteratura. Il suo ultimo libro «Leggere pericolosamente» (Adelphi, nella traduzione di Anna Rusconi), quarto d’una quadrilogia iniziata con «Quell’altro mondo», proseguita con «Leggere Lolita a Teheran» (più che un manifesto letterario) e «La Repubblica dell’immaginazione», completa la riflessione sul potere della letteratura in contrapposizione ad altri poteri che in questo tempo minano anche le nostre democrazie.
«Per me l’Italia rappresenta la mia Repubblica dell’immaginazione» dice, e nella Repubblica dell’immaginazione e della parola Nafisi ha costruito la sua casa, perché «l’immaginazione rivela la verità, la chiarisce, mentre l’illusione la nasconde, rendendola opaca». Lo sa bene da quando, tredicenne, andò via dall’Iran per studiare negli Usa, con ritorni frequenti nel suo amato paese sempre più opaco e intollerante. Così, libri e storie sono diventati «i suoi talismani», «la sua casa portatile», l’unica su cui fare affidamento e da cui non sarebbe stata mai sloggiata. E le hanno fornito anche occhi nuovi con cui guardare il suo paese di nascita e quello di adozione. Di cui dà conto in «Leggere pericolosamente» (, una polifonia di voci contenute in cinque lettere in cui scrivendo al papà morto (ex sindaco di Teheran poi caduto in disgrazia e imprigionato), che le aveva insegnato le storie «portando il mondo nella sua cameretta», si rivolge idealmente ad autori simbolo, da Salman Rushdie a Ray Bradbury, da David Grossman a Zora Hurston, da Toni Morrison a Margaret Atwood, attraverso i quali affermare come ci sia un legame stretto tra immaginazione e realtà. «Soffocare l’una – scrive – porta inevitabilmente a soffocare l’altra. Le grandi opere letterarie sono “pericolose” e “sovversive” perché la letteratura va sempre a braccetto con l’idea di libertà e ci avverte della verità. È soprattutto il romanzo ad essere ancora più pericoloso perché nei regimi totalitari esiste solo una voce, mentre il romanzo ha tante voci, anche quelle dei cattivi, quindi la letteratura è lo spazio più democratico e pericoloso che ci sia. Ogni volta che un potere totalitario s’insedia, uno dei suoi primi obiettivi è attaccare le donne, le minoranze, la letteratura e le arti in genere. Quindi mi chiedo: cosa c’è che fa sì che gli uomini e le donne di potere temano chi usa la parola come unica arma? La letteratura è una sorta di avvertimento di quello che ci potrebbe accadere, perché il punto focale della letteratura è la verità mentre nei regimi totalitari il punto focale è rappresentato dalle menzogne. Basta dare un’occhiata a quello che è accaduto nel mondo e che accade oggi: tutto comincia da una bugia, è stato così per il fascismo, il nazismo, la repubblica islamica dell’Iran, e anche per i movimenti e le tendenze antidemocratiche che si atteggiano negli Stati Uniti attuali. Sono tutti basati sulle bugie».
Dai tempi di «Leggere Lolita a Teheran» il movimento femminile, afferma l’autrice, è diventato sempre più forte: «Le donne iraniane sono state il primo gruppo a manifestare quando l’ayatollah ha lanciato una fatwa per far sì che l’hijab diventasse obbligatorio (e sottolineo l’aggettivo obbligatorio) e il movimento di Mahsa Amini, il cui slogan è “Donna, vita e libertà”, ha fatto riversare masse di donne sulle strade senza il velo, bruciandolo proprio per dimostrare al governo quanto loro siano consapevoli di avere un potere, quello di mostrare il corpo, i capelli, cosa che fa impazzire il tiranno».
Ed è il tiranno di ieri e di oggi che la Nafisi denuncia, appellandosi ai giornalisti, presidio importante, come i libri, come gli scrittori e le scrittrici, per combattere in nome della libertà, e non solo di quei paesi che liberi non sono. Le democrazie sono fragili, e grande è la sua preoccupazione per la situazione negli Usa (naturalmente spera che vinca Kamala Harris) perché «quello che è più pericoloso per la democrazia sono le cosiddette coscienze dormienti, l’atrofia del sentire, e al momento negli Usa, come in altri paesi, la democrazia viene presa un po’ troppo alla leggera, non si considera quante persone si sono sacrificate per arrivare ad essa». E se «l’Iran è il burattinaio, perché sostiene e ha sempre sostenuto Hezbollah, Hamas, ha interferito anche con la guerra in Siria ed è quello che lancia i droni russi contro l’Ucraina, la questione israelo-palestinese mi tocca nel profondo del cuore. Sia Hamas sia il governo di Netanyahu rappresentano una sorta di delirio tossico per la propria popolazione; il governo israeliano non coincide con la popolazione israeliana e i terroristi palestinesi non coincidono col popolo palestinese. Ad Hamas come a Netanyahu non interessa il benessere dei loro popoli, portano avanti questa guerra solamente per tutelare i propri interessi personali. Non dimentichiamo che Hamas ha iniziato la guerra stuprando delle donne e uccidendo bambini, sapendo benissimo che Israele avrebbe reagito, ma anche Israele ha da tempo abbandonato la sua popolazione. Io sono a favore della soluzione di due stati e vorrei che ci fosse un governo della Palestina che potesse concedere dignità e libertà ai propri cittadini».
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