Iran, cosa c’è dietro l’attacco a Israele: contro il regime degli ayatollah il dissenso cova sempre più forte
Spari verso il cielo, clacson, persone in strada, qualche fuoco d’artificio. Mentre in Israele i cittadini uscivano dai rifugi antiaerei, sperando che l’attacco iraniano fosse terminato, nelle città dell’Asse della resistenza iniziavano i festeggiamenti. Da Beirut a Gaza fino a Teheran, migliaia di sostenitori di Hezbollah, di Hamas, della Repubblica islamica e di tutta la galassia di milizie legate all’Iran hanno deciso di scendere in strada. Un moto spontaneo per celebrare quell’Iran che finalmente, a loro dire, ha lanciato la sua vendetta contro lo Stato ebraico. Ma anche una maniera per esorcizzare la paura, quella che da ormai diverse settimane alberga nei cuori di chi si sente costantemente sotto tiro. «Vendetta contro il nemico israeliano», le grida degli sciiti. Ma contro il regime degli ayatollah il dissenso cova sempre più forte.
Nelle ultime settimane Tel Aviv ha inferto duri colpi all’Asse diretto da Teheran. Il regime si è scoperto debole, vulnerabile, permeabile addirittura dall’interno. È rimasto sotto shock per diversi giorni, quasi congelato dalle mosse attuate da Israele. Omicidi mirati, sabotaggi, esplosioni, intere milizie decapitate e senza più una catena di comando, i leader di questi gruppi uccisi, un’invasione in corso nel sud del Libano. L’intera architettura messa in piedi dall’Iran nel corso di questi anni in Medio Oriente (e in casa) è apparsa inesorabilmente fragile. E la paura, quando inizia a invadere le menti e i cuori delle persone che lo vivono, rischia di essere l’inizio della fine per un sistema che si basa sulla forza e sulla guerra a un nemico che ti sta infliggendo colpi su colpi.
IL SOSTEGNO
L’attacco di ieri è servito agli ayatollah anche per placare questa frustrazione. Il pressing degli ultraconservatori in Iran e dei miliziani sparsi in tutta la regione iniziava a essere sempre più intenso e difficile da gestire. Tanti volevano farsi da giustizia e vendicare Hassan Nasrallah e Ismail Haniyeh senza il semaforo verde di Teheran. Un sentimento pericoloso per la Repubblica islamica e per la Guida suprema, Ali Khamenei, e che si è unito alla rabbia e al dolore di chi questa sfida tra Iran e Israele la vive sulla propria pelle ogni giorno. Quello degli abitanti della Striscia di Gaza, dove le persone hanno alzato gli occhi al cielo e festeggiato per la salva di missili contro lo Stato ebraico riprendendo con i telefonini le scie dei razzi e degli intercettori di Iron Dome. E quello dei cittadini del Libano, dove centinaia di migliaia di residenti sono stati costretti fuggire dal sud per i raid e l’incursione terrestre delle forze armate israeliane contro Hezbollah. Nella capitale, il quartiere sciita è stato a lungo martellato dai caccia di Tel Aviv per sradicare il Partito di Dio dalla sua roccaforte. E sono in molti a credere che qui, come nel sud del Paese, la rappresaglia israeliana per l’attacco di martedì sera potrebbe essere di nuovo devastante. La popolazione palestinese, ma anche quella libanese e quella iraniana lo sanno benissimo. Sono scesi nelle strade per festeggiare e ringraziare i Pasdaran. Ma sanno che la risposta israeliana sarà dura e potrebbe durare giorni. E non è un caso che ieri siano iniziati a circolare anche altri video, quelli delle persone che si sono dirette a fare rifornimento alle pompe di benzina. «Abbiamo dei piani e agiremo nel momento e nel luogo che sceglieremo» ha detto ieri il portavoce delle Israel defense forces, Daniel Hagari. E anche per questo i festeggiamenti potrebbero essere brevi. Le milizie (sciite e non) hanno tutte ringraziato e fatto i complimenti all’Iran. Ma Israele, in questi mesi, ha dimostrato di sapere esattamente dove e quando colpire i suoi nemici.
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