Israele-Iran, cosa faranno i militari italiani in Libano? Area-cuscinetto più larga e il “piano B”. Alzato a 3 il livello di sicurezza
A sera, quando le immagini della grandinata di missili iraniani su Israele hanno appena fatto il giro dei telegiornali, a Palazzo Chigi le certezze sono poche ma ben salde: per ora i militari italiani schierati in Libano per la missione Unifil restano dove sono e, a fronte di una «profonda preoccupazione» per l’aggravarsi della crisi in Medio Oriente, si continua a lavorare per la de-escalation.
Al tavolo permanente convocato da Giorgia Meloni, i report squadernati dall’intelligence nostrana rassicurano sulla reale efficacia dell’attacco di Teheran. Nonostante la portata, l’offensiva è stata “controllata” e assorbita dall’Iron dome. L’appello «alla responsabilità di tutti gli attori regionali» affidato ad una nota è quindi riferito soprattutto all’eventuale reazione di Israele. Il timore affiorato nel corso della riunione a cui hanno preso parte anche il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, il ministro della Difesa Guido Crosetto, il sottosegretario Alfredo Mantovano, il consigliere diplomatico della premier Fabrizio Saggio e l’ambasciatore in Israele Luca Ferrari, è che Benjamin Netanyahu si dimostri meno incline al compromesso dell’Iran e finisca con il trascinare nel baratro l’intera area a suon di reazioni simboliche. Oggi Tajani riprenderà a tessere la rete diplomatica al tavolo del Quint con i ministri degli Esteri di Stati Uniti, Francia, Germania e Regno Unito.
LA PRIORITÀ
La riunione con i Servizi – Belloni è stata ieri ascoltata dal Copasir – è l’occasione per fare il punto sulla sicurezza interna, a fronte di giornate incandescenti con l’anniversario del 7 ottobre che si avvicina e i fatti in Medio Oriente che accentuano il rischio di proteste violente. E si è discusso di evacuazione dei civili in Libano e nelle aree interessate dai bombardamenti in Israele. Ma lo sguardo di Roma è volto soprattutto verso il confine libanese. L’apprensione è tutta per i circa 1.200 uomini del contingente italiano, oggi stipati nei bunker più come forma di tutela da incidenti ed eventi collaterali che per ripararsi dalle bombe che Israele ha cominciato a sganciare pure sul Paese. A loro in questo momento non si chiederà di tornare.
A Palazzo Chigi la convinzione è che se una soluzione diplomatica può ancora essere considerata una strada percorribile lo si deve proprio alla missione Unifil. Rinunciare al presidio, per di più «in qualità di presidente di turno del G7», rischierebbe di lasciare a se stessa l’area. La possibilità di arrivare all’applicazione della risoluzione 1701 insomma, passa per un rafforzamento del mandato della missione Onu. La premier ha infatti destinato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la richiesta di poter ampliare la zona cuscinetto, lasciando che siano i peace-keeper italiani a mettere in sicurezza la linea blu.
Un’operazione ambiziosa che inevitabilmente non esclude l’ipotesi di un rimpatrio dei militari italiani qualora le condizioni sul terreno dovessero infine peggiorare. In pubblico l’imperativo è: negare. In realtà i piani per il ritiro dei nostri Caschi blu sono pronti e aggiornati negli ultimi giorni. Navi e aerei sono già dispiegati nella regione e in grado, se gli eventi dovessero precipitare, di evacuare il contingente italiano nell’Onu in meno di ventiquattro ore. Ipotesi per ora residuale – perché sarebbe uno strappo con l’Onu e lancerebbe un messaggio che la premier non vuole avallare – ma il piano B deve essere pronto per ogni evenienza.
LE TUTELE PER I SOLDATI
Lo scenario affrescato dagli apparati di intelligence lascia poco spazio all’ottimismo. Se la risposta israeliana alla pioggia di missili di Teheran dovesse varcare una nuova linea rossa – uno strike sui siti militari e di arricchimento dell’uranio della Repubblica islamica – gli eventi potrebbero prendere una piega funesta. Anche per i soldati del contingente Unifil. A cui due giorni fa è stata innalzata la sicurezza, passata dal livello due al livello tre. Divieto assoluto di perlustrazioni esterne alla base, elmetto, giubbotto antiproiettile e fucile sempre con sé, provviste per restare a lungo nei bunker, se necessario. Non è impossibile che l’invasione di terra israeliana si spinga fino a Litani, inglobando la Blue line dove sono schierati i soldati Onu. L’allerta è massima.
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