Israele-Iran, cosa succede ora? Khamenei sfida Bibi: «Se reagite sarà la fine». Ma gli Usa: conseguenze gravi
Essere o non essere. La Guida Suprema, Ali Khamenei, forse già dal luogo sicuro nel quale dicono di averlo portato, ha finalmente deciso di «esserci», di sciogliere il dilemma se incassare i colpi di Israele ai suoi alleati oppure reagire. Dopo aver ordinato il lancio di missili ipersonici Fattah-1, i più avanzati e imprendibili del suo arsenale, ha fatto sapere di essere stato lui a decidere l’attacco. E ha ammonito Benjamin Netanyahu che se tenterà una rappresaglia, «la risposta sarà devastante». Su X, ieri sera, ha scritto che «la vittoria viene da Dio, la conquista è vicina». Un appello ai sentimenti religiosi dell’Islam, non potendo richiamarsi alla solidarietà araba.
L’EQUILIBRIO
L’Iran è persiano, e anche sciita, una minoranza rispetto a una regione per lo più sunnita che ha nell’Arabia Saudita il suo riferimento. Una esibizione di muscoli per dimostrare agli alleati dell’Asse della Resistenza che l’Iran c’è: Hezbollah in Libano, Hamas e la Jihad islamica a Gaza, le milizie sciite in Iraq e gli Houthi dello Yemen, forse i più grintosi. Ma immediata è poi la replica del presidente Biden che conferma il «pieno sostegno» a Israele. Per il segretario di Stato Antony Blinken è «inaccettabile l’attacco dell’Iran, Israele lo ha sventato col nostro appoggio, il mondo lo condanni». Gli Stati Uniti annunciano inoltre di voler «coordinare l’eventuale risposta con Israele», e indicano gli impianti nucleari iraniani come «obiettivo legittimo».
Interviene il Pentagono per lanciare un ulteriore monito, avvertendo che non potranno non esserci «conseguenze» dopo ieri, e invitando l’Iran a non reagire ulteriormente. Khamenei si è piegato alla corrente più conservatrice del regime, quella del falco Saeed Jalili, battuto nelle elezioni presidenziali ma influente tra i guardiani della rivoluzione e i pasdaran. Una posizione, la sua, condivisa di recente dall’ayatollah Mohammad Hassan Akhtari, che aveva ipotizzato perfino l’invio di truppe in Libano. Una fuga in avanti subito smentita dal governo presieduto dal “moderato” presidente Pezeshkian, reduce da una missione conciliatrice, all’apparenza, all’Assemblea generale dell’Onu in cui aveva aperto tutte le porte possibili al dialogo con l’Occidente per la ripresa del negoziato sul nucleare e la fine delle sanzioni economiche.
LA VENDETTA
Inevitabile, forse, l’azione di ieri di Teheran, in risposta alle uccisioni mirate di Israele e per vendicare la morte dei leader di Hamas e Hezbollah, Haniyeh e Nasrallah, il primo a Teheran, e di due alti generali pasdaran, l’ultimo al fianco di Nasrallah nel bunker di Beirut sventrato dalle bombe penetranti di Israele. «L’altra volta, la notte fra il 13 e il 14 aprile, gli iraniani avevano scelto di usare molti droni, questa volta i missili, più difficili da bloccare, proiettile contro proiettile».
Andrea Margelletti, presidente del Centro studi internazionali, analizza il rompicapo di Khamenei, la scelta impossibile «tra non fare niente e diventare irrilevanti, e fare qualcosa rischiando di essere distrutti. Israele – aggiunge – adesso ha un’opportunità enorme, è molto probabilmente la sfrutterà. Il punto vero è che di fatto non c’è nessuno contro Israele, anche gli americani sono in una fase elettorale in cui possono incidere poco sugli eventi».
Si tratta di vedere adesso come vorrà rispondere Netanyahu. Il quale sa di poter contare nei momenti cruciali sulla formidabile macchina da guerra USA, irrobustita negli ultimi giorni con truppe, navi, sommergibili, aerei… L’Intelligence americana è stata la prima ad anticipare pubblicamente la ritorsione missilistica dell’Iran, e gli Usa hanno fatto subito sapere che si sarebbero schierati con tutta la loro forza a protezione di Israele e contro l’Iran. Khamenei e il governo, del resto, più volte avevano detto che la risposta alle azioni di Israele e alle uccisioni mirate ci sarebbe stata. E non avrebbero detto in anticipo né dove, né quando. «Una risposta legittima», sottolinea la rappresentanza dell’Iran a Roma su X. La Casa Bianca non si era mostrata impaziente di avviare una nuova fase e tendere la mano all’Iran. E lo stesso Pezeshkian ha dovuto unirsi al coro dei falchi definendo l’attacco missilistico di ieri «una risposta forte all’aggressione del regime sionista. L’Iran non cerca la guerra, ma affronterà con fermezza ogni minaccia». Adesso, tocca a Netanyahu decidere come, quando e dove colpire.
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