Carlo Conti: «Sto bene alla Rai, però mai dire mai. Fedez e Tony Effe a Sanremo? Se hanno bei pezzi, sì. Ligabue non mi ha chiamato»

Ragioniere e dj cantante, stakanovista del piccolo schermo e irriducibile dell’abbronzatura, eterno scapolone e (dal 2012) uomo di famiglia irreprensibile. Carlo Conti a 63 anni è stato ed è tutto questo, e anche di più. Ora che ha deciso di giocare di nuovo la carta Sanremo, dopo 7 edizioni e tanti altri successi televisivi – l’ha condotto dal 2015 al 2017 – la sua natura da talentuoso e abile navigatore mascherato da uomo comune viene fuori più che mai. Basta seguire le sue mosse. E le sue parole, usate sempre con l’oculatezza dello showman accorto, pacato e rassicurante. Praticamente un democristiano, corrente dorotea, con l’aggiornamento incorporato.

Chi glielo ha fatto fare questo bis dopo i record di Amadeus?
«Perché è il mio lavoro. E ne ho già fatti tre, so cosa mi aspetta. E poi anche chi è venuto dopo di me – Claudio Baglioni e Amadeus – non avrebbe dovuto farlo visto che è stato un continuo crescendo. Dal 2015 in poi il Festival è tornato agli splendori degli Anni ‘80 e ‘90. Chi è arrivato dopo di me ha fatto un gran lavoro».

Cosa c’è di diverso rispetto al suo primo Festival del 2015?
«Tutto. Sei-sette anni fa in classifica otto canzoni su dieci tu erano straniere, oggi è il contrario. Ci sono nuovi produttori, interpreti e autori: c’è un gran fermento».

Lei come si orienta per scegliere i pezzi da portare in gara? Prima di accettare ha detto che temeva di non avere più l’orecchio giusto per il Festival. Come si è convinto del contrario?
«Il dj che c’è in me è ancora vivo, non ha preclusioni e sa stare al passo con i tempi. Almeno lo spero».

Quello di Roger Waters la prima sera e David Gilmour l’ultima è un sogno, una battuta per i social o c’è davvero una trattativa?
«Averli sarebbe bellissimo. Ma costano e sono in pessimi rapporti. Temo che resterà un sogno».

Da tutte le canzoni ascoltate finora che Italia viene fuori?
«C’è di tutto. Pezzi leggeri e più impegnati. Fra i giovani ci sono molti che hanno presentato brani simili ad altri di successo, quindi senza originalità, la prima cosa che cerco. Per i Big è diverso, hanno già la loro identità. Tante sono allegre e altre affrontano questioni più familiari che collettive. Sono tutti concentrati sul loro microcosmo».

A proposito di famiglia, da padre che ne pensa di quegli artisti rap e trap che cantano solo di violenza, droga e sessismo?
«Da quel mondo lì per ora sono arrivate soprattutto canzoni d’amore sui rapporti difficili uomo-donna. Niente di più. Stanno maturando».

Non si direbbe a sentire Fedez e Tony Effe: che ne pensa di dissing e insulti vari?
«Che ognuno fa quello che vuole, ovviamente pagandone le conseguenze soprattutto di immagine».

Fedez e Toni Effe li vorrebbe?
«Dipende dal brano. Io prima ascolto quello, poi guardo chi lo canta».

Ligabue ha detto che tornerebbe volentieri: l’ha sentito?
«No. Aspetto sempre che siano gli artisti a proporsi. Non faccio inviti».

Il figlio adolescente di Amadeus, Josè, si diceva che suggerisse molti artisti a suo padre: il suo, Matteo, 10 anni, che gusti ha?
«Nessuno in particolare. Quest’estate mi ha portato con un suo amico a vedere il live di Alfa, ma non è ancora tanto coinvolto dalla musica».

Il sito Gay.it punto it pochi giorni fa le ha scritto una sorta di lettera aperta invitandola a chiamare Big Mama come co-conduttrice: che cosa risponde?
«Per ora penso alle canzoni, quando mi occuperò del cast – da fine dicembre in poi – vedrò».

Dal 2016 al 2017 fu nominato anche direttore artistico di Radio Rai, esperienza non proprio felicissima: cosa non funzionò?
«Il mio ruolo fu frainteso dagli altri direttori. Io dovevo creare e far partire quelle radio digitali che poi sono effettivamente state lanciate. Dovevo modernizzare. L’ho fatto».

Si disse che era un uomo di Renzi.
«Lo conosco, ma era una falsità». 

È vera la storia del gavettone che da giovani – con Pieraccioni e Panariello avete fatto a Renzi?
«Non me lo ricordo. Lui di sicuro in quegli anni veniva a vederci spesso nelle tv locali. Questa storia l’ha messa in giro quel bischero di Massimo Ceccherini…».

Cosa aveva fatto a quella sua fidanzata che pochi giorni prima della Maturità, a Firenze, la centrò in pieno con il motorino rompendole una gamba?
«Niente. Fu un incidente. Perse l’equilibrio e mi travolse. Una delle poche bionde della mia vita…».

Torniamo alla Rai. Amadeus ha detto che l’azienda non gli ha fatto sentire affetto, anche per questo sarebbe andato via: lei l’ha avuto? 
«L’anno prossimo saranno 40 anni che lavoro per Viale Mazzini: a volte c’è stato, altre meno. Quando ho accettato di rifare Sanremo, però, ho sentito ancora una volta tutti remare nella stessa direzione».

E lei giustamente, da uomo d’azienda, quando il 22 settembre Amadeus ha debuttato sul Nove con “Chissà chi è,” alle 20.30 – giocando d’anticipo su “Affari tuoi” e sovrapponendosi al Tg1, che fa da traino – due minuti prima è andato al Tg1 per fare un annuncio che non diceva niente. Insomma, “À la guerre comme à la guerre”?
«Nooo… Dovevo annunciare Alessandro Cattelan conduttore di Sanremo Giovani, ma poi c’è stato un piccolo cavillo ed è saltato, ma visto che lo spazio era fissato…». 

Se lo dice lei. Che ne pensa dei risultati di Amadeus sul Nove?
«Amadeus ha sicuramente fatto una scelta ben ponderata. Per i risultati ci vuole tempo e pazienza, il pubblico tv è abitudinario». 

Si dice che Fiorello gli avesse detto di non andare al Nove.
«Non lo so. Quando sento Fiore parliamo d’altro».

Lei parlando del suo futuro ha più volte detto, citando Lorenzo il Magnifico, che “del doman non v’è certezza”: quindi con una buona offerta potrebbe cambiare?
«Mai dire mai. Ora sto bene e non ci penso. Magari fra un po’ potrei anche ritirarmi. Tutto può essere».

Si è dato dei tempi?
«Non ancora. Finché il pubblico mi apprezza , vado avanti». 

Entro l’8 agosto 2025 l’Italia, secondo l’European Media Freedom Act, dovrà liberare la Rai dal controllo di Governo e Parlamento e garantire investimenti pluriennali irrevocabili: secondo lei come andrà a finire, Viale Mazzini sarà finalmente libera dai condizionamenti politici?
«Non conosco l’argomento e non so cosa rispondere. In fondo, mi occupo solo di spettacolo».

Dopo tre edizioni di Sanremo quanti nemici si è fatto?
«Tantissimi si presentano e molti ci rimangono male, lo so. Spero che il tempo abbia ammorbidito le delusioni e faccia altrettanto per i prossimi». 

Lei da ragazzo ha inciso più di un disco con il nome Konty: oggi che canzoni farebbe? Con quale stile?
«Nessuno. Sto cercando di far sparire tutte le copie dei singoli in circolazione. Ho fatto anche un cd con Pieraccioni, Animali di città… Oggi, però, con l’autotune potrei stonare di meno».

A parte il sogno Gilmour-Waters, ci saranno ospiti internazionali?
«Non credo. Sono un po’ passati di moda questi interventi al Festival». 

E i comici?
«Più che un lungo monologo credo sia più efficace una comicità spalmata nel corso delle serate».

E gli amici Pieraccioni e Panariello, li convocherà?
«Non credo proprio».

In termini di Auditel per Sanremo che obiettivi si è dato?
«Per me l’importante è che il trend sia positivo e in linea con l’andamento delle ultime edizioni. Deve mantenersi su quei livelli. Poi mezzo milione in più, mezzo in meno non ha importanza. Ogni anno ci sono tante variabili: una partita, un fatto di cronaca…».

Quanto guadagna per il Festival?
«Come gli altri, né più né meno».

Settecentomila euro, giusto?
«Magari».

Le piace più “Affari tuoi” di De Martino o di Amadeus?
«Mi piace Affari tuoi».

In tv conduce anche la cerimonia di consegna dei David di Donatello: quelli del cinema la guardano ancora con un po’ di puzza sotto il naso?
«All’inizio, sì. Dopo nove anni e i grandi ascolti molto meno».

Ho letto che si sente trent’anni: conferma?
«Poco fa, avrei detto di sì. Ora comincio a dire 40, specialmente dopo che mio figlio si addormenta nel nostro lettone e devo portarlo nel suo. La schiena protesta».

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