Albania, il decreto del governo sui Paesi sicuri non supera la Corte Ue: così le toghe dovranno rivolgersi alla Consulta e sarà ancora stallo

Come anticipato già nei giorni scorsi, il decreto del governo partorito dal Consiglio dei ministri dovrebbe interverrà sulla famosa lista dei Paesi sicuri, quella che ha scatenato il cortocircuito che ha bloccato i centri in Albania per decisione dei giudici di Roma che hanno applicato l’ormai nota sentenza della Corte di Giustizia europea. In attesa dei dettagli, fonti di governo hanno spiegato alle agenzie di stampa che il decreto legge in materia di immigrazione dovrebbe rendere norma primaria l’indicazione dei Paesi d’origine designati come sicuri, e non più secondaria com’è invece il decreto interministeriale emanato lo scorso maggio dal ministero degli Esteri di concerto con quello di Interno e Giustizia. Niente da fare per le modifiche sulle procedure di trattenimento di cui pure si era parlato nelle ultime ore: “Non si escludono ulteriori interventi”, si è limitato a dire il sottosegretario Alfredo Mantovano, in conferenza stampa insieme al ministro della Giustizia Carlo Nordio e quello dell’Interno, Matteo Piantedosi. Questo ha invece annunciato come, in applicazione della sentenza della Corte Ue sono stati esclusi dalla nuova lista tre Paesi, Camerun, Colombia e Nigeria, che nel precedente elenco presentavano esclusioni di aree di territorio considerate non sicure. Proprio questa la questione che, con i decreti dei magistrati romani, aveva bloccato venerdì le procedure in Albania e liberato i 12 richiedenti, poi trasferiti in Italia. Perché, aveva sentenziato la Corte Ue il 4 ottobre, il diritto europeo non ammette esclusioni: un Paese è sicuro per tutti o non lo è per nessuno.

Nordio ha escluso che la nuova norma, in quanto primaria, possa essere disapplicata dai giudici. “Se non la condividono dovranno rivolgersi alla Corte Costituzionale“, ha detto. Un esito annunciato, che non potrà non rilanciare lo scontro tra politica e magistratura. Ma quanto è probabile che i giudici rinvieranno alla Consulta il decreto appena approvato? Andiamo con ordine. Per il governo quello di oggi non è un passo indietro, anzi. Certo che la sentenza Ue non sia stata compresa fino in fondo, Nordio accusa i giudici di essersi limitati ad applicare il principio generale della designazione unitaria di Paese sicuro e di non aver “verificato in modo esaustivo e completo, ex nunc, le ragioni per cui quel singolo individuo non è sicuro nel suo Paese”. I 12 del centro di Gjader provenivano tutti da Egitto e Bangladesh, Paesi che il governo aveva inserito nella lista dei Paesi d’origine sicuri lo scorso maggio, e per i quali aveva esplicitamente escluso categorie di persone che non considera sicure. Eccezioni che, dice la Corte Ue, il diritto europeo non ammette, escludendo così chi proviene da Egitto e Bangladesh dalla possibilità di essere sottoposto a procedure di esame accelerato della domanda d’asilo, più rapide e con minori tutele.

Vista la norma generale, la pretesa di Nordio di un ulteriore esame del caso singolo sembra alquanto bizzarra, perché non si capisce come avrebbe potuto modificare l’esito delle pronunce dei giudici. Entro i limiti della norma generale, infatti, la Corte non solo pretende dal giudice una verifica della situazione attuale del Paese d’origine, ma prima ancora una verifica d’ufficio della legittimità della designazione di Paese come sicuro. Legittimità venuta meno proprio per mancanza del presupposto e cioè che il Paese sia sicuro nella sua interezza. Durante la conferenza stampa, Nordio ha poi negato che la sentenza Ue possa vincolare il giudice “in via generale e astratta”. Una tesi altrettanto curiosa. La sentenza impone un’interpretazione “restrittiva” della direttiva 32/2013, che all’articolo 37 non prevede in alcun modo la possibilità di escludere aree o categorie di persone non sicure. E questo proprio per le implicazioni sulle procedure d’asilo da applicare. Se il giudice non si attenesse a questa indicazione non rischierebbe di incorrere nelle responsabilità previste dalla legge per i magistrati che disattendono le sentenze della Corte europea?

Nonostante i ministri dicano di aver offerto “un parametro dirimente per i giudici”, è difficile immaginare come, laddove permangano eccezioni per le categorie considerate a rischio, i giudici potranno evitare di applicare la sentenza Ue allo stesso modo in cui hanno fatto venerdì scorso. Col rischio appunto di doversi rivolgere alla Consulta in merito al contrasto tra il nuovo decreto legge e la sovraordinata normativa europea, che tale rimane anche di fronte a norma primaria. A quel punto, se nel frattempo il governo avesse deciso di riprendere i trasferimenti di migranti il Albania, alla prima richiesta di convalida del trattenimento si bloccherebbe tutto un’altra volta. Il rinvio comporterebbe la sospensione del giudizio sulla convalida con conseguente liberazione del trattenuto perché la convalida non avrebbe più modo di intervenire entro le 48 ore stabilite. E siccome il Protocollo con l’Albania non prevede che i richiedenti possano essere liberati in territorio albanese, andrebbero condotti in Italia come accaduto per i primi 12. “Questo decreto serve a imprimere velocità alle procedure che servono a decidere chi ha diritto a rimanere e chi va rimpatriato”, ha detto Piantedosi. Al contrario, invece, sembra che porteranno a un nuovo stallo nell’attesa che sia la Consulta a dire la sua.

Da ultimo, i ministri non hanno perso l’occasione di ricordare che anche questo decreto va nella direzione del nuovo regolamento procedure che fa parte del nuovo Patto Ue su Migrazione e Asilo che contemplerà nuovamente la possibilità di designazioni non unitarie del Paese d’origine sicuro. Il governo ha ribadito che l’operatività del nuovo regolamento, prevista per il giugno 2026, potrebbe essere anticipata come già altri attori europei hanno chiesto. Un modo di rivendicare la legittimità politica del provvedimento che, dice Piantedosi, “va nella direzione già chiesta dalla Ue per la preparazione all’entrata in vigore del Patto”. E tuttavia l’argomento poco incide sulle decisioni dei giudici che devono basarsi sulla normativa vigente, non su quella futura per la quale, tra l’altro, la stessa sentenza Ue ha previsto serviranno nuove riflessioni degli Stati membri per ricalibrare la designazione dei Paesi sicuri. Secondo quanto affermato dai portavoce della Commissione europea, tuttavia, non se ne parlerà prima della metà dell’anno prossimo e non è detto che si riesca ad anticipare i tempi perché non tutti i Paesi Ue sono favorevoli, a partire dall’Ungheria di Viktor Orban. L’entrata in vigore differita al 2026 è inserita in un atto legislativo e quindi serve un’iniziativa legislativa per modificarla, con Commissione, Parlamento e Consiglio Ue allineati. E’ possibile, ma non è certo una soluzione immediata per i centri in Albania. che più probabilmente finiranno sul tavolo dei giudici costituzionali.

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