Messico, ucciso il gesuita anti-narcos in Chiapas. L’anno nero dei preti in prima linea contro l’intreccio tra crimine e istituzioni

“La verità non sta dentro un palazzo del governo, non sta dietro una scrivania. La verità è a Pantelho, a Chicomuselo. Il governo deve andare lì. Ma sappiamo che lo farà solo con la Guardia nazionale…”. Marcelo Pèrez era un gesuita, conosciuto per la sua attività sociale e di contrasto agli interessi dei narcos in Chiapas. La frase era rivolta alla presunta efficacia del nuovo organo di polizia, che è stato sponsorizzato dall’ex presidente Obrador. Domenica scorsa, il prete era uscito di casa per celebrare messa nel quartiere di Cuxtitalli, a Guadalupe. La liturgia non si è mai tenuta perchè, salito in auto, Pèrez è stato affiancato da un paio di motociclisti che gli hanno sparato diversi colpi di pistola, uccidendolo.

L’omicidio viene attribuito alla criminalità organizzata, ma in molti ricordano che il gesuita non era amato neppure dalle istituzioni per le sue critiche verso le politiche nel Chiapas. Le iniziative da attivista del religioso risalgono al 2014, quando fu protagonista di una sorta di pellegrinaggio – per denunciare l’oppressione dei narcos sul territorio – che attraversò 12 città fino a raggiungere la capitale del Chiapas, San Cristobal. Pèrez aveva fondato anche il “Movimento in Difesa della Vita e del Territorio” che coinvolgeva gli abitanti di 13 municipi e delle zone rurali del Chiapas e nel 2021 aveva proposto la creazione di una commissione composta sia da esponenti della diocesi di San Cristobal, che dalle autorità civili.

C’è un altro aspetto della vicenda: nello stesso anno il gesuita fu colpito da un mandato di arresto, perchè accusato di essere coinvolto nella sparizione di 19 persone, legate al clan dei Los Herrera. Per i sostenitori del religioso, il mandato era una sorta di “avvertimento” per il suo attivismo nella regione. Pèrez fu trasferito in un’altra chiesa ma continuò a fare le sue denunce, tanto che in quegli anni chiese protezione per le minacce di morte ricevute; ne scaturirono tensioni con le autorità dello Stato, perchè Pèrez denunciò che le misure prese nei suoi confronti erano blande. In occasione di una marcia tenutasi il 13 settembre, Pèrez aveva criticato l’atteggiamento della Procura come “contraddittorio”, essendo stato a sua volta oggetto di una misura cautelare per la vicenda dei Los Herrera.

Domenica scorsa, otto colpi di pistola hanno tolto la vita al parroco. La Procura ha confermato che aveva stabilito misure di protezione per il gesuita, fatto è che al momento dell’agguato la vittima era in auto, da sola. L’uccisione di Pèrez evidenzia come il 2024 sia stato un anno nero per i preti in prima linea: il 17 luglio Filiberto Velázquez, altro sacerdote che lavora in Chiapas, ha denunciato un agguato a cui è sfuggito per un soffio, dopo che uomini armati aveva provato a sbarrargli la strada con un furgone. Il 18 agosto è andata peggio a Isaías Ramírez, che era scomparso tre giorni prima; il suo corpo è stato trovato vicino al ponte di San Fernando, a Jalisco. Nel 2023 aveva suscitato molta emozione l’esecuzione di cui era rimasto vittima monsignor Faustino, arcivescovo di Durango. Appena il giorno prima era avvenuto l’omicidio di padre Javier García, un sacerdote agostiniano che lavorava in una parrocchia di Capacho, nel Michoacan.

L’ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani in Messico ha chiesto, dopo l’assassinio di Pèrez, che le autorità svolgano “un’indagine rapida, approfondita ed efficace”. Ma in molti sono pessimisti; a pochi giorni dalla nomina di Claudia Sheinbaum come prima presidente donna del Messico, l’agguato mortale ad un sacerdote attivista nel Chiapas sembra un messaggio esplicito sia al governo che alla Chiesa: non ci sarà nessun riguardo per coloro che intendono fermare la violenza e l’intreccio tra interessi criminali e personaggi delle istituzioni: neppure se indossa la croce.

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