Pierdante Piccioni, l’uomo con la memoria ferma al 2001: «Ho ispirato “Doc”, a Luciano vorrei dire: pensa a vivere il presente»

«Provi a chiudere gli occhi. Li riapra. E realizzi che non ricorda gli ultimi 12 anni di vita…». Il “Dottor Amnesia”, come viene chiamato Pierdante Piccioni, 64 anni, ha letto con un misto di dolore e meraviglia la testimonianza di Luciano D’Adamo, il 68enne romano che dopo un incidente si è risvegliato credendosi negli anni ‘80. Trentanove anni di vita cancellati. Esattamente come è accaduto a lui, nel 2013 sulla tangenziale di Pavia: si è salvato da un terribile scontro, ma la sua memoria si è fermata al 2001.  

 Cosa ha provato quando ha letto la storia di Luciano D’Adamo?

«Già dalla mattina mi hanno tempestato di messaggi, amici e conoscenti per informarmi. Anche io ho sbattuto la testa, sono stato in coma, sono due storie molto simili, cambiano i dettagli ma è impressionante come entrambi non abbiamo riconosciuto moglie e figli, cercato una mamma che non c’era più, anche le risposte che continuiamo a dare».

Quali?

«Ci sei andato/a tu, non io. Perché di fatto perdi un pezzo di te. Io mi occupo di amnesia post-traumatica. Dal punto di vista scientifico abbiamo capito che non c’entra niente la durata del coma. Contano le lesioni provocate dalla botta alla testa».

Il suo caso ha ispirato il medical drama “Doc – Nelle tue mani”, protagonista Luca Argentero. Negli anni ha scritto libri e si è appassionato al tema dell’oblio.

«Sono un po’ il punto di riferimento, ma in Italia ci sono almeno 300 anche più storie simili a quella mia e di Luciano. Traumi cranici con perdita di memoria prolungata ossia superiore ai 7 giorni. La maggior parte di queste vicende non vengono raccontate ma esistono, ne ho conosciuti tanti».

Perché il fenomeno non è conosciuto?

«Ci si vergogna, poi si viene trattati come disabili, invalidi, ti resta uno stigma. A volte poi sono storie talmente incredibili che non vieni creduto. Ma qualche volta vengono a galla».

Cosa l’ha colpita, dottore, della testimonianza di Luciano?

«Il rapporto con la moglie, quando parla con i familiari, quando si stupisce di avere i figli grandi. Sapete quante volte ho risposto loro: “quando ci sei andato tu, non quando ci siamo andati noi”. Avevo due piccoli di 8 e 11 anni, mi sono trovato davanti due ragazzoni con la barba, ho chiesto loro: “dove sono i miei bambini, sono morti?”. Quando realizzi ti viene qualche senso di colpa, però non ti può far ammazzare né dai ricordi né dall’oblio».

Ma non si è arreso.

«Io ho provato anche a fare una terapia con delle scariche elettriche, adesso ne farò un’altra, con elettrodi che cercano di stimolare la scatola grigia, forse possono riportare in vita ricordi. Ma…».

Non sembra crederci molto.

«Ora ho i ricordi degli altri. E mi farebbe piacere conoscere Luciano, parlargli, dargli consigli, capire come possiamo aiutarci. Vorrei dirgli: non inventarti i ricordi, ma createne di nuovi ormai. Non hai quelli vecchi, ma altri puoi ancora fartene. Insomma, vivi il presente e il futuro. L’errore più grosso che ho fatto nei primi anni è stato volere che ritornasse quel tempo, il 2001. Sbagliatissimo. Non torna più. Ma puoi capire che sei un’altra persona, hai avuto la fortuna e sfortuna di vivere due vite. La prima è andata. Viviti la seconda».

Per questo vuole incontrare Luciano?

«Io sono il commilitone vecchio, lui il caporale. Ho sei anni di vita in più nuova. Lo voglio ascoltare, a tu per tu, raccontargli. Bisogna accettare l’accaduto e farlo accettare agli altri. Inutile sperare di tornare quelli di prima, sono un’altra persona, meglio o peggio me lo diranno. Ma il segreto è trasformare la sfiga in sfida. Non piangersi addosso. Quando ho smesso di fare il “rimpiantologo”, sono veramente cambiato: atteggiamento, stile di vita, sono diventato un’altra persona. Ho smesso di fare il primario di Pronto soccorso dell’ospedale Maggiore di Lodi e di quello di Codogno, mi sono dedicato ai grandi invalidi nell’azienda ospedaliera di Lodi».

Scrittore, docente universitario, sceneggiatore.

«Mi occupo di un sacco di cose. Non è stato facile. Ho perso 12 anni di medicina, ho studiato due anni per tornare a fare il medico. Sto lavorando agli effetti della musicoterapia sulla riabilitazione neurocognitiva e motoria. Ho scritto già sei libri, insieme al giornalista Pierangelo Sapegno, l’ultimo “Io ricordo tutto”, una provocazione. Volevo regalarlo a Luciano».

Ha fatto pace con la memoria perduta?

«Non è stato facile, mia madre era morta, sono andato in depressione, me la ricordo ieri che siamo andati a fare la spesa. Col tempo anche nei rapporti, sono diventato più disinibito, dico quello che penso e spesso non penso quello che dico. Ma i miei ex collaboratori del Ps di Lodi una volta mi hanno detto: «Doc ad aver saputo che veniva fuori così, gliela davamo noi una botta in testa molto prima. Il messaggio finale è che si può essere un’altra persona e tendere alla felicità. Basta accettarsi. Quando lo ho imparato ho capito che idiota ero stato a cercare quello che non c’era più».

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