Aleppo cosa succede? Miliziani conquistano la città, raid dell?esercito governativo aiutato dai jet russi. Assad assicura: «Li sconfiggeremo»
Aleppo in mano ai ribelli, l’aeroporto civile conquistato, l’esercito che si ritira, voci di golpe a Damasco e di scontri tra le forze governative, ipotesi su una fuga a Mosca di Bashar al Assad, che ieri ha rotto il silenzio e ha chiamato ancora una volta il Paese a unirsi contro i ribelli. «La Siria continua a difendere la sua stabilità e integrità territoriale di fronte a tutti i terroristi e ai loro sostenitori, ed è in grado, con l’aiuto dei suoi alleati e amici, di sconfiggerli ed eliminarli, indipendentemente dall’intensità dei loro attacchi». Queste le parole del leader siriano al presidente degli Emirati Arabi Uniti, Mohammed bin Zayed. Un’apparente normalità di fronte a un assedio soffocante. Da nord-ovest, da est, da sud, fino al cuore della capitale. Assad prova a resistere, nonostante ormai sia sempre più chiaro che il regime non riesca più a controllare anche quella parte di Paese rimasto fedele al suo leader.
L’onda ribelle che è partita da Idlib è dilagata senza trovare alcuna resistenza. Le milizie ribelli guidate da Hayat Tahrir al Sham, con un’offensiva fulminea e, sorprendentemente facile, hanno costretto l’esercito siriano a ritirarsi non solo da Aleppo, con lo scalo internazionale prima passato sotto il controllo curdo e poi ai miliziani ribelli, ma anche dalle ultime roccaforti interne alla provincia di Idlib (due in particolare, Maarat al-Numan e Khan Sheykhoun). Le forze armate, in molte zone del Paese, sono praticamente scomparse. I caccia russi hanno martellato le formazioni ribelli, scatenando una violenta pioggia di fuoco in varie regioni. Ma a tremare ora non sono le zone più a sud, quelle vicino Hama, la città di Homs, e addirittura alcuni centri al confine con la Giordania, come Daraa e Suwayda. E la stessa Damasco è un punto interrogativo.
L’OFFENSIVA
Nessuno riesce davvero a capire quale siano le reali intenzioni di Hts. Molti osservatori pensano che i ribelli siano consapevoli di non potere assumere davvero il controllo di Aleppo, dove i morti sono già oltre 300, e degli altri centri conquistati nell’offensiva. Qualcuno suggerisce che si tratti di un modo per spingere Damasco a negoziare un accordo per Idlib. Ma quello che sembra chiaro è che questa cavalcata verso sud non si fermerà a breve. L’esercito prepara la controffensiva. Ieri, le forze governative hanno ammesso di essersi ritirate dalla città dopo avere perso «decine di uomini». Un ritiro tattico in vista dell’arrivo dei rinforzi, hanno sottolineato dai comandi siriani, «un’operazione di ridispiegamento volta a rafforzare le linee di difesa per assorbire l’attacco, preservare le vite di civili e soldati e prepararsi a un contrattacco». Ma è la conferma di quanto le divisioni di Assad siano state sorprese da questo assalto, e da come anche le milizie alleate, quelle della galassia legata all’Iran, abbiano dovuto arretrare. In molti casi anche senza potere opporre alcuna resistenza. Come nella guerra civile, l’aiuto più importante per Damasco è quello della Russia. Decollati dalla base vicino Latakia, i caccia di Vladimir Putin, dopo otto anni, sono tornati a colpire Aleppo.
LA DIPLOMAZIA
I raid hanno centrato le postazioni dei miliziani intorno alla città e nella provincia di Idlib, santuario di Hts. E secondo i media turchi, la Russia avrebbe promesso l’arrivo di aiuti militari nei prossimi due giorni. Dal Cremlino, l’ordine è quello di fare il possibile per frenare l’offensiva ribelle. Per Putin, Assad è un alleato prezioso. Ed è per questo che da Mosca è partita anche la macchina della diplomazia. Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha sentito l’omologo turco, Hakan Fidan, ribadendo la «necessità di coordinare gli sforzi per stabilizzare la situazione in Siria». Poi ha chiamato il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, con cui ha confermato la volontà di «intensificare gli sforzi congiunti volti a stabilizzare la situazione» ma anche «la necessità di un’urgente revisione globale della situazione all’interno del Paese». L’obiettivo, a questo punto, è cercare di capire come ridare vita al formato di Astana, la piattaforma tra Ankara, Mosca e Teheran che rischia di naufragare. Ed è anche per questo che oggi, salvo cambiamenti dell’ultim’ora, il capo della diplomazia iraniana è atteso a Damasco, prima di andare domani ad Ankara. Parlando con Lavrov, Araghchi ha detto che l’escalation in Siria «fa parte del piano israelo-americano per destabilizzare l’Asia occidentale», collegandolo a quanto accaduto in Libano. Ma non è da escludere che Hezbollah possa muoversi a sostegno di Damasco. Questa, almeno, sembra sia la valutazione dell’intelligence israeliana, che ha fatto il punto della situazione con Benjamin Netanyahu. E gli 007 di Tel Aviv hanno avvertito: «Il crollo del regime di Assad creerebbe un caos con minacce militari per Israele».
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