Pd, cosa succede? Landini imbarazza i dem, i riformisti: «Leali a Schlein, ma il partito non segua la Cgil»
No, dai, Landini no, ti prego. Il corpaccione del Pd, almeno quello più di tipo riformista che ieri si è riunito all’hotel D’Azeglio di Roma tra bonaccinismo, minoranza dem e nuovo protagonismo dei sindaci («Serve gente giovane e popolare per battere Meloni e non polli dall’allevamento sinistresi», è l’esigenza di tutti in questa sede), non è proprio in modalità «rivolta sociale». Elly Schein consiglia a tutti di non infierire su Maurizio Landini e sulla improbabile spallata di piazza tentata dalla Cgil e dalla Uil, e lei era al corteo romano dello sciopero generale e considera ogni parte della sinistra funzionale alla riconquista del governo nel 2027 o anche prima, e i suoi compagni di partito cercano di adeguarsi all’esigenza della segretaria.
Ma non fanno che dire, più o meno off record, che Landini è un estremista o un irresponsabile o uno che «vuole sostituirsi al Pd ma i sindacalisti con la politica non c’azzeccano proprio» (copyright di uno dei massimi esponenti della corrente di Bonaccini, minoranza Pd) e comunque vanno abbassarti i toni, come chiede il presidente Mattarella, e guai a fomentare il clima dello scioperismo per cui a dicembre ci saranno 15 scioperi che non conviene cavalcare e tanto meno occorre incrementare la deriva piazzaiola su cui insiste il capo della Cgil convinto che «senza rivolta contro le ingiustizie non c’è libertà».
UNITA’
C’è il Pd targato Bonaccini, di origine renziana e vogliosissimo di unità larga da Matteo a Conte («Basta veti», come ha detto alla riunione di ieri proprio l’ex governatore emiliano-romagnolo e attuale presidente del partito del Nazareno), non nemico per esempio di Vincenzo De Luca (il figlio Piero è personaggio di spicco e molto stimato di questa compagnia che include figure come Nardella e Gori e via dicendo tra progressismo e pragmatismo non da rivolta sociale) e molto aderente alla nouvelle vague civica e pop pragmatica dei sindaci che fanno vincere il Pd e dei neo presidenti regionali come Proietti in Umbria e De Pascale in Emilia Romagna, che cerca di spingere Schelin ad affiancare alla vocazione, per ora vincente ma non potrà bastare per vincere il partitone delle Politiche 2027, che è quella della protesta sociale un approccio più riformista e più attento a creare una proposta di governo – la chiede anche un padre nobile come Romano Prodi – più attenta ai bisogno sociali e alle compatibilità finanziarie e internazionali che sono le uniche dentro le quali potrà formarsi e muoversi un centrosinistra che aspira a governare davvero dopo aver conquistato il consenso degli italiani.
Da Guerini a Picierno e a tutti gli altri (alla riunione c’era anche Maria Elena Boschi di Iv) la richiesta a Schlein è questa: lasciare perdere Landini, non tradire l’Ucraina inseguendo un pacifismo di facciata e stai attenta al rapporto con Conte che si muove proprio sul crinale del filo-putinismo e dell’anti-Ucraina. I riformisti si fanno sentire.
Pina Picierno, vice presidente del Parlamento europeo, ha fatto un intervento molto netto. Incentrato sul guai a mollare Zelensky e insomma «il nostro partito deve mostrare un’affidabilità internazionale e non possiamo dare adito ad ambiguità di nessun tipo». Neppure alle ambiguità – è questa la linea di Energia Popolare, la corrente di minoranza – rispetto al massimalismo piazzaiolo di Landini. Anzi, i riformisti del Pd chiedono la riapertura di una dialogo con la Cisl e di non inseguire la Cgil nella sua cavalcata barricadera. Neppure va accarezzato troppo Conte ma Conte serve. Dice Bonaccini: «Quanto è difficile tenere insieme M5S e Italia Viva nel nostro campo? Se guardo a Umbria e Emilia Romagna non c’è nessuna difficoltà. Non è vero che non si può stare insieme. Stando compatti abbiamo strabattuto la destra».
I TIMORI
L’assemblea riformista è stata aperta dagli interventi in collegamento di Nicola Zingaretti e della segretaria Schlein che, auricolari e zainetto, si è collegata via smartphone dall’aeroporto in partenza per Siviglia per il congresso di Psoe di Pedro Sanchez. Entrambi hanno risposto con fermezza – apprezzata dalla platea, applausi – all’attacco di Conte sul sì del Pd alla commissione Von der Leyen bis con Raffaele Fitto commissario. Sul versante interno, non solo Elly riconosce lo spirito unitario che ha caratterizzato il Pd in questi mesi, ma ne fa un modello anche per le alleanze: «Sappiamo bene che si può lavorare con le altre forze anche con sensibilità diverse. Io credo che il miglior esempio l’abbiamo dato noi: abbiamo sensibilità diverse ma l’importante è darsi un luogo dove comporle, dove fare sintesi e fare passi avanti insieme».
Il problema è che i riformisti del Pd, leali a Schlein che comunque ai loro occhi e agli occhi di tutti sta tenendo il partito in buona salute elettorale, temono a buon ragione che Schein sia pronta ad assecondare ancora la «rivolta sociale» di Landini e la demagogia piazzaiola. Ma così i moderati si allontanano dal Pd, il centro si ritrae, il riformismo responsabile e non ideologico soffre e la destra gongola.
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