Vertice Nato tra Putin e l?incognita Biden: Patriots e F-16 per difendere Kiev. Cosa succede ora

Vladimir Putin li ha salutati a distanza con un personale benvenuto: i missili ipersonici su Kiev, l’ospedale pediatrico in macerie, 41 cadaveri per strada. E i trentadue leader della Nato riuniti a Washington per il vertice dell’Alleanza rispondono con le maniere forti. Promettono ancora un lungo soccorso militare al Paese aggredito: missili Patriot per difendere le città, carri armati Abrahms per tenere le linee al fronte, munizioni per colpire le trincee russe. Forse anche i micidiali jet da combattimento F-16. Ma è un’altra la promessa più solenne: l’Ucraina entrerà nella Nato. Un percorso ormai «irreversibile», così intendono scrivere nel comunicato finale del summit i leader atlantici dando forma alla paura più recondita di Putin: l’allargamento dell’Alleanza e dell’articolo 4 fino ai confini del Donbass e la Crimea. Eccolo, il cuore del vertice internazionale radunato all’ombra della Casa Bianca per i settantacinque anni dell’Alleanza. Avvolto dall’incertezza.

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L’INCOGNITA

Ieri è stato il giorno dell’esordio per Joe Biden, il presidente in bilico, ormai in affanno a rincorrere Donald Trump per un nuovo mandato nello Studio Ovale. Sono tutti per lui, gli occhi dei leader e dei loro staff nel conclave americano, in cerca di un cenno, un gesto che aiuti a capire la forma fisica e mentale in cui versa il presidente democratico.

Non aiutano a dare un’immagine di compattezza e forza della famiglia atlantica le turbolenze politiche europee che arrivano fin oltre oceano. Emmanuel Macron, presidente uscito dimezzato dal voto parlamentare francese, assediato a palazzo, valuta fino all’ultimo un clamoroso forfait. Che dire poi di Viktor Orban, il premier ungherese che gira il mondo con i galloni della presidenza di turno del Consiglio Ue stringendo mano agli autocrati, da Putin a Xi? Mentre si respira una certa attesa per il debutto internazionale del neo-premier britannico, il socialista Keir Starmer.

Ce n’è abbastanza per far sorridere Giorgia Meloni, la premier italiana che per ora è stabile nella plancia di comando e qui a Washington rinnoverà l’impegno di Roma a spendere di più nella Difesa e chiederà in cambio un impegno concreto della Nato sul fianco Sud che più preoccupa il governo italiano. Cioè il Mediterraneo e l’Africa in subbuglio tra golpe e scorribande di mercenari russi, investimenti cinesi che restringono l’agibilità politica dei Paesi occidentali.

La minaccia russa è sul piedistallo, qui al a Washington. E gli alleati si impegnano su una tabella di marcia definita per aiutare l’Ucraina a ribaltare le sorti del conflitto sul campo e solo poi avviare i negoziati. Tra gli annunci di peso, l’istituzione in Germani, a Wiesbalden, di un comando Nato guidato da un generale a tre stelle con circa settecento militari: coordinerà la logistica degli aiuti militari spediti verso Kiev, grazie a nuovi snodi che saranno installati in Polonia, Slovacchia e Romania.

Poi ancora, il contratto da quasi 700 milioni di dollari per aumentare la produzione di missili Stinger nei Paesi membri. Sullo sfondo, l’antica questione delle spese militari. Il target del 2 per cento del Pil investito nella Difesa, ha messo in chiaro Jens Stoltenberg – segretario uscente che al summit si darà il cambio con l’olandese Mark Rutte – è «il minimo». Tradotto: bisogna fare molto di più. L’asticella sarà alzata al 3 per cento del Pil al prossimo vertice dell’Aja, nel 2025. L’Ucraina è il vero cruccio del summit americano. Stoltenberg preannuncia uno sforzo finanziario annuale degli alleati di 43 miliardi di dollari per aiutare le difese ucraine. Ma la verità è che fra pochi mesi lo scenario potrebbe ribaltarsi.

IL FATTORE TRUMP

Donald Trump è il convitato di pietra del vertice Nato. Un suo ritorno alla Casa Bianca, ormai favorito nei sondaggi, è uno scenario che basta a far trattenere il fiato ai capi di Stato e di governo europei. Non ha mai amato la Nato Trump e ha promesso, senza spiegare come, che chiuderebbe la guerra ucraina «in un giorno». Facile immaginare un accordo che sorride più a Putin che a Zelensky.

Gli alleati si attrezzano per tempo. A questo serve il nuovo meccanismo logistico per inviare aiuti a Kiev, con sede in Europa e sotto gli occhi vigili del generale a quattro stelle Christopher Cavoli, capo delle truppe alleate in Europa che Biden e i democratici sperano resti al suo posto anche qualora Trump dovesse rivarcare la soglia dello Studio Ovale. Intanto il summit Nato è una spina nel fianco per Putin. «L’Alleanza vede nella Russia un nemico», ha tuonato dal Cremlino il portavoce Peskov. Putin è infuriato, fra l’altro, dall’ingresso della Svezia nell’alleanza, celebrato a Washington. Dove ieri è arrivato il presidente in mimetica Volodymyr Zelensky, pronto a firmare un accordo con Biden, domani, che darà vita a un sistema centralizzato per inviare munizioni ed armi al suo Paese. E a celebrare il percorso verso l’adesione, messo nero su bianco nelle conclusioni finali: «Stiamo facendo di tutto perché i terroristi russi perdano».

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