Giustizia civile, il passo obbligato

Una delle fotografie più suggestive dello stato della giustizia in Italia l’ha scattata nei giorni scorsi la Cassazione, con una sentenza che spiega bene perché alcuni aspetti del nostro sistema giudiziario siano da ripensare radicalmente. La sentenza riguarda il tentato furto di un euro e 10 centesimi da parte di un uomo che aveva cercato di sfilarli da un parchimetro. Un caso che avrebbe potuto essere cancellato alla prima udienza dichiarando la non punibilità del reato per la particolare tenuità del fatto (articolo 131 bis del codice penale). E che invece è andato avanti per nove anni in primo grado, poi in appello e infine in Cassazione (con esborsi considerevoli per spese legali e di cancelleria) prima di arrivare all’assoluzione dell’imputato.

In un contesto del genere, dove l’adagio della “legge uguale per tutti” è smentito nei fatti dalla lotteria che un indagato può vincere o perdere a seconda dell’ufficio giudiziario davanti al quale è chiamato a difendersi, è arrivata ieri una norma chiarificatrice, che abroga il reato di abuso di ufficio.

Già in passato, su queste colonne, abbiamo raccontato l’altissima percentuale di assoluzioni – oltre il novanta per cento – che ha caratterizzato negli ultimi anni i processi per abuso d’ufficio. E oggi è il caso di valutare i reali pro e contro di una riforma che cancella del tutto questo reato, senza prevedere norme alternative per sanzionare alcuni comportamenti dolosi dei pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni.

Il primo effetto che il Parlamento si aspetta dalla riforma è un rinnovato attivismo degli amministratori locali nella gestione della cosa pubblica. Fino a ieri, la paura di firmare atti per il rischio di essere indagati per un presunto abuso d’ufficio ha limitato le economie che ruotano intorno alle amministrazioni locali e non solo. Adesso i sindaci non avranno più alibi per procrastinare la firma di concessioni, gare d’appalto e atti autorizzativi, a beneficio di intere comunità. Al tempo stesso le cancellerie dei tribunali saranno sgravate da decine di migliaia di procedimenti che assorbono energie e allungano i tempi della giustizia.

Il rovescio della medaglia, che viene evidenziato dai critici della riforma, è l’effetto “abrogativo” di questo pezzo della legge Nordio. Si dice, in buona sostanza: se il reato viene cancellato del tutto, chi potrà punire un agente che commette un abuso di potere su un cittadino fermato anche solo per un controllo stradale? La semplificazione è utile a capire quanto un improvviso vuoto legislativo può alterare lo stato di diritto. Tuttavia non può essere applicata in questo caso, perché le condotte oggettivamente illecite del pubblico ufficiale ricadono nell’area di applicazione di altri reati contro la pubblica amministrazione, come la corruzione, l’abuso di potere, la frode, il peculato, il favoreggiamento, la concussione e la truffa ai danni dello Stato.

Un altro passo avanti verso la tutela dello stato di diritto è la stretta sulle intercettazioni e la norma che impone ad un magistrato di interrogare l’indagato prima di arrestarlo. Quest’ultima riforma pone fine all’utilizzo del carcere come strumento di pressione psicologica sulla persona sospettata di un reato: si tratta di una deriva giustizialista che prese piede negli anni di Tangentopoli, quando manager e imprenditori venivano tratti in arresto alla vigilia del fine settimana e venivano lasciati in carcere il sabato e la domenica senza la possibilità di parlare con il magistrato, nella convinzione che le 48 ore di purgatorio li avrebbe resi più disponibili a rendere una collaborazione piena sui presunti reati commessi da loro o da altri.

Sono piccoli passi verso una giustizia più equa e rispettosa del dettato costituzionale. Che tuttavia non possono bastare a risolvere una patologia che attraversa tutti i settori dell’amministrazione giudiziaria.

Il passaggio successivo non può che riguardare le aule dei tribunali civili, dove ancora oggi un procedimento per una lite condominiale, un debito non pagato o un incidente stradale dura anni e costa troppo.

Si tratta di una mancata risposta di giustizia che genera sfiducia nella popolazione e nelle aziende. Secondo l’Istat almeno 900mila cittadini nel 2023 hanno rinunciato a fare una causa civile per non affrontare anni di spese legali. E secondo il rapporto Doing Business che misura il livello dei servizi nel mondo, l’Italia continua ad essere il paese con i tempi della giustizia civile più lenti in Europa.

Se il ritardo in una causa di condominio rappresenta un danno per un numero ristretto di cittadini, la decisione delle multinazionali di non investire in Italia perché il rispetto della legge è garantito solo dopo molti anni, è un freno alla crescita del nostro Paese.

 [email protected]

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Link sorgente : Giustizia civile, il passo obbligato