Avetrana vuole bloccare la serie su Sarah Scazzi: «Ci mette in cattiva luce, noi dipinti come retrogradi e omertosi»

Ci sono eventi che segnano per sempre i destini di un luogo. Cogne, per esempio. Due anni fa Annamaria Franzoni, che ha scontato una condanna a 16 anni per l’omicidio del figlio Samuele, denunciava il continuo via vai di turisti davanti alla villetta a vent’anni di distanza dalla morte del bambino: «Le persone entrano in giardino per sottrarre oggetti come ricordo». Il delizioso paese ai piedi del massiccio del Gran Paradiso vive ancora all’ombra dello chalet del delitto, così come ad Avetrana è un’abitudine dei forestieri scattarsi un selfie davanti a casa Misseri.

AZIONE LEGALE

Sarah Scazzi, quindici anni, è stata uccisa il 26 agosto 2010 dalla zia Cosima Serrano e dalla cugina Sabrina Misseri, entrambe condannate all’ergastolo con sentenza passata in giudicato. Nel frattempo dall’11 febbraio lo zio Michele, scontati gli otto anni di reclusione per soppressione di cadavere, è un uomo libero e una volta che le acque si sono calmate è tornato a vivere in via Deledda, rinfocolando la curiosità. Gli annunciati quattro episodi di “Avetrana – Qui non è Hollywood”, in onda da venerdì, hanno fatto il resto. Tanto che l’amministrazione comunale, attraverso i suoi avvocati, ha depositato un ricorso cautelare d’urgenza per chiedere la rettifica della denominazione della serie televisiva e la sua «sospensione immediata».

Ad annunciarlo è il sindaco Antonio Iazzi: «Risulta indispensabile visionarla in anteprima – sostiene – al fine di appurare se l’associazione del nome della cittadina all’adattamento cinematografico susciti una portata diffamatoria rappresentandola quale comunità ignorante, retrograda, omertosa, eventualmente dedita alla commissione di crimini efferati di tale portata, contrariamente alla realtà». Avetrana, ripete il sindaco, non è lo specchio di un crimine. La comunità «ha da sempre cercato di allontanare da sé i tanti pregiudizi dettati dall’omicidio, dal momento che la tragedia destò sgomento nella collettività, interessata da una imponente risonanza mediatica, che stimolò l’ente a costituirsi parte civile nel processo penale a carico di Michele Misseri» e degli altri imputati. «La messa in onda del prodotto cinematografico – insiste – rischia invece di determinare, prescindendo anche dal contenuto che al momento si ignora, un ulteriore attentato ai diritti della personalità dell’ente comunale, accentuando il pregiudizio che il titolo già lascia presagire nel catapultare l’attenzione dell’utente sul territorio più che sul caso di cronaca». I concittadini approvano compatti: «Vergognoso, oltraggioso e disdicevole mettere il nome di Avetrana nel titolo», concordano via social. Pur con qualche voce dissenziente: «Almeno se ne parla, visto l’omertà che gira da anni in paese riguardo a questa faccenda».

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CULTURA CONTRO MAFIA

Difficile staccarsi di dosso un’etichetta, impossibile cancellare il ricordo. Lo sa bene il sindaco di Castelvetrano Giovanni Lentino, la cui missione da neoeletto è non farsi sopraffare da un passato ingombrante. «Non siamo più il paese del boss, il sistema è stato smantellato. Sono convinto che faremo cambiare idea a chi continua a considerare Castelvetrano come la città di Matteo Messina Denaro. Questa è la nostra grande scommessa». Certo la figura dell’ultimo capo stragista di Cosa Nostra, latitante per trent’anni, è impegnativa, «ma noi abbiamo radici culturali di tutto rispetto, abbiamo Selinunte che è il più grande Parco archeologico d’Europa. Dobbiamo riscrivere una storia diversa. E questo a partire dall’identità della città legata a figure come Giovanni Gentile, Virgilio Titone e tanti altri». Ma alla fine accade anche qui che un film faccia vacillare gli ottimi propositi: Salvatore Vaccarino, proprietario dell’unica sala cinematografica, si è rifiutato di proiettare “Iddu”, storia tratta dalla vita del boss, il Comune ha organizzato la visione a teatro e Castelvetrano è tornata alla ribalta come la città natale di Messina Denaro. E qui almeno non c’è l’intralcio dei turisti a caccia di foto ricordo. Come all’isola del Giglio per il naufragio della Concordia, ad Amatrice sulle macerie del terremoto, nel campo di Brembate dove fu trovato il corpo di Yara Gambirasio. A Rigopiano, un anno dopo la strage, l’hotel distrutto è stato meta di pic-nic di famiglia a Pasquetta, con pezzi di muro portati via come souvenir. Dopo la valanga sulla Marmolada del 2022, costata la vita a undici persone, il presidente della Regione Luca Zaia ammonì: «No al turismo del macabro. Non ha nessun senso andare lì su a fotografare». Non è cambiato niente.

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