Otello: colpevole, senza attenuanti. All’UniMe la masterclass di Edoardo Leo con i giovani: patriarcato e battute sessiste? Io m’indigno

Un’aula magna stracolma e un coinvolgimento profondo su temi drammaticamente attuali all’Università di Messina, dove il regista e attore Edoardo Leo ha dialogato con studentesse e studenti sul suo ultimo film “Non sono quello che sono”, in uscita il 14 novembre per Vision Distribution, che rilegge la tragedia di Otello di Shakespeare ambientandola nei primi anni 2000. L’evento è stato introdotto dalla rettrice Giovanna Spatari, esprimendo soddisfazione per il fatto che l’ateneo messinese sia stato parte del Masterclass tour, organizzato da Cineventi con il patrocinio della Crui e della Conferenza Nazionale degli Organismi di Parità delle Università italiane, a sostegno della lotta contro la violenza di genere che vede gli Atenei, e quello messinese in particolare, in prima linea.

“Attraverso eventi come questo – ha aggiunto la rettrice – speriamo di poter stimolare i giovani al raggiungimento di un cambio culturale radicale in grado di sradicare la violenza di genere dalla cronaca quotidiana e non solo. Qui in Aula c’è la sedia di ‘Posto occupato’, simbolo della campagna di sensibilizzazione sociale, virale e gratuita contro la violenza sulle donne a cui la nostra Università ha aderito da tempo. Desidero ringraziare i presenti e quanti hanno lavorato a questa iniziativa, in particolare la prof.ssa Vittoria Calabrò, Presedente del CUG, per il suo costante supporto organizzativo”.

Il regista attualizza un classico senza tempo, esplorando temi incombenti, ieri come oggi: violenza di genere, maschilismo, anaffettività, patriarcato, discriminazioni, affrontati sul piano della relazione tra l’opera letteraria e l’analisi sociologica attraverso una traduzione rispettosa dell’originale. L’evento è stato moderato dalla giornalista della Gazzetta del Sud Natalia La Rosa, che ha fornito interessanti spunti alla conversazione con il regista del film e il professore Fabio Rossi, ordinario di Linguistica italiana dell’Ateneo. Nel dialogo, intercalato dalla proiezione del trailer e clip del film, tanti i temi sul tappeto.

Oggi qui tante donne, ma bisogna parlare agli uomini

«Sono contento – ha detto il regista romano – di questa accoglienza e della presenza di tanti studenti dell’università , che per me è stato un luogo di studio e di formazione, dove ho sognato di fare il lavoro che ho fatto. In questi giorni di presentazione ho notato come il settanta per cento del pubblico sia costituito da donne, invece dobbiamo parlare agli uomini. Iago e Otello sono purtroppo ancora tra noi, ed è drammaticamente attuale questa storia scritta 400 anni fa! Da quando ho iniziato gli incontri alla Sapienza di Roma, sono state uccise 4 donne in pochi giorni. Io sono partito dall’indignazione per uno dei tanti casi di cronaca di femminicidio e suicidio che è stato come una sinossi breve di Otello, che volevo riportare ad una dimensione contemporanea. Ho lavorato sul personaggio di Otello che non è vittima (di troppo amore) ma carnefice. La tragedia non è sua ma di Desdemona, è lei che muore; va tolta l’aura romantica, ogni attenuante e ogni possibile empatia verso una figura che ha coagulato troppa pietas attorno a sè. Per questa sfida, ho lavorato negli spazi tra le parole, senza naturalmente alterare il testo su cui mi sono misurato sia come essere umano che come artista».

La potenza espressiva e “popolare” del dialetto

La potenza universale dell’opera del Bardo in questo film parla al presente anche grazie alla forza del linguaggio e del dialetto, “lingua regionale”, del romano e napoletano, usati nel film .«Le opere di Shakespeare nascevano con un carattere popolare, col tempo sono state caricate di letture intellettualistiche. Ecco l’idea del romano che ha reso bene l’intenzione dell’autore. Il dialetto non è una diminutio». Anche lo scenario e l’ambientazione della pellicola riflettono la cifra stilistica realista, il film è stato girato tra Roma e il litorale laziale in un ambiente di malavita e devianza, una precisa scelta narrativa di Leo, che del film è anche interprete (Iago) e sceneggiatore. Colta e apprezzatissima l’analisi filologica condotta dal prof. Rossi, che, nel ribadire il valore del linguaggio nell’affermazione dei temi di genere, ha anche ripercorso le varie trasposizioni della tragedia attribuendo a quella di Leo un posto speciale, anche grazie alla potenza espressiva del dialetto, capace di comunicare con efficacia i tanti temi dell’opera, dalla gelosia all’odio sociale, dalla discriminazione all’inganno, sublimandosi, in particolare, nel dialogo tra Desdemona e Emilia, che finiranno entrambe uccise, tra sottomissione e impeto di riscatto femminile.

Franca Rame, e le donne da vittime a colpevoli

A conclusione, Leo ha voluto proporre alcuni brani del monologo di Franca Rame, in cui l’attrice racconta lo stupro subito come ritorsione per il suo impegno civile. In particolare, l’attore ha voluto sottolineare i passaggi in cui emergono maggiormente i segni di una società patriarcale e maschilista che colpevolizza le donne vittime dei crimini di genere. Segni ancor oggi ben presenti, pur se ormai sempre più avvertiti non come “connaturati” o “immutabili”, ma, al contrario, intollerabili.



Il dialogo intenso con studentesse e studenti – di Cristina Geraci 

Stimolante e vivace il dialogo tra studentesse e studenti dell’Università di Messina e Edoardo Leo, che si è raccontato con sincerità, rivelando anche il “dietro le quinte” del suo nono film da regista. «Montare un film è come avere una seconda regia – ha spiegato l’attore rispondendo a una domanda tecnica- Lavoro spesso con Consuelo Catucci, che considero una co-autrice. Commissiono a lei una versione alternativa del film, per capire come un’altra persona lavorerebbe con il materiale girato». Un altro degli studenti ha affrontato un tema delicato: il rapporto tra cinema e violenza. «Sergio Leone diceva che in America si uccide in campo lungo, da lontano. Ma il cinema non è un manuale per la vita, è un riflesso della società. Se oggi parliamo di violenza di genere è perché siamo più consapevoli del problema, e il cinema prova a interpretare questo cambiamento».

Venti chili per diventare Iago

Leo ha poi raccontato l’importanza di immedesimarsi nei suoi personaggi, come in questo caso il perfido Iago, per la cui interpretazione l’attore ha cambiato la sua corporatura ingrassando di quasi venti chili, così da poterlo rappresentare anche in età avanzata, quando dalla prigione in cui si trova racconta la vicenda: «Ogni volta che interpreto un ruolo – ha chiarito – costruisco la psicologia del personaggio fino in fondo. So che scuola ha frequentato, che relazioni ha avuto. Questa preparazione mi permette di andare in scena con una visione chiara». La conversazione ha poi toccato la difficoltà di bilanciare il ruolo di regista e attore. Leo ha spiegato come si avvalga di una sorta di “doppio” durante le riprese: «C’è un ragazzo della mia stessa corporatura, la mia controfigura, che prova le scene al mio posto, in modo che io possa concentrarmi sulla regia. Poi entro in scena, ma prima vedo come funzionano le inquadrature».

Violenza di genere e responsabilità: il mio lavoro per fare riflettere

Uno degli interventi più toccanti ha riguardato il timore di trattare temi così complessi senza cadere nella retorica. «C’è un rischio, certo – ha ammesso Leo – Ma il vero pericolo è ignorare il problema. So che in quest’aula potrebbe esserci qualcuno che vive una relazione tossica, qualcuno che abbassa gli occhi perché riconosce un fidanzato controllante. È una realtà che dobbiamo affrontare, come società e come persone». Tra gli spunti, anche il momento contingente in cui il film approda alle sale, dopo una lunghissima lavorazione iniziata da un fatto di cronaca di 15 anni fa. «Incontrando tanti giovani, mi sono reso conto di quanto grave sia il problema delle relazioni tossiche e della violenza. Non ho iniziato oggi a parlare di violenza di genere: sento la responsabilità di parlare di questi temi e spero che il mio lavoro possa essere uno strumento di riflessione», ha ribadito accennando alle tante quotidianità in cui si manca di rispetto alle donne, anche con una battuta sessista, un apprezzamento fuori luogo al bar: «Se mi capita di ascoltarlo, io mi indigno». Come chiunque dovrebbe fare.

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