Cosa Nostra, i due boss intercettati criticano Riina: “Ha portato alla distruzione”. Mentre ammirano Buscetta: “Aveva 7 paia di coglioni”

“Niente cose infami, ma perché pure tutte queste bombe tutti questi giudici, tutti questi … ma che cosa sono … non è nel Dna di questa cosa. Le bombe là fuori, fare morire gente innocente”. Il giudizio tranchant sulla svolta stragista voluta da Totò Riina è captato dai carabinieri di Palermo lo scorso 5 luglio. A parlare sono Gaetano Badagliacca e Antonino Anello, entrambi arrestati (il primo in carcere, il secondo ai domiciliari) nell’operazione di martedì che ha portato all’arresto di 7 persone a capo del mandamento di Rocca Mezzo Monreale, subordinato a quello di Pagliarelli. Uno statuto, regole ben delineate e un’etica contestata: c’è perfino questo nelle intercettazioni dei carabinieri del comando provinciale di Palermo. Dalle carte dell’indagine della Dda, guidata dal capo della procura Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido, emerge una condanna sulla svolta sanguinaria e stragista di Totò Riina, per una condotta lontana dal codice d’onore della mafia, che non voleva vittime innocenti e che non metteva il profitto avanti a tutto. È il giudizio di una parte del mandamento di Rocca Mezzo Monreale, ma è uno spaccato che apre una lettura globale sull’organizzazione – perfino “democratica”, a dir loro – mafiosa.

C’era una volta Cosa nostra, poi Riina distrusse tutto – Gaetano Badagliacca e Antonino Anello, scrive il gip Lirio Conti nell’ordinanza di custodia cautelare – criticavano aspramente i mafiosi che si erano alleati con Totò Riina, tra i quali lo storico capo mandamento Antonino Rotolo, per il quale, sempre a loro dire, era già stata decretata la condanna a morte, scongiurata solo grazie alla sopraggiunta carcerazione”. I due disprezzano la strategia sanguinaria di Riina, la svolta stragista e gli omicidi come quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, definito “un innocente”. E c’è della malinconia nelle parole di Anello per una Cosa nostra prima di Riina: “Eravamo i padroni del mondo”, dice parlando con Gioacchino, mentre è intercettato. E Badagliacca risponde: “No e tutte cose sono finite…Zu Ninì quando una persona ha il delirio di onnipotenza… Per far funzionare qualsiasi cosa ci vuole sempre equilibrio, e l’equilibrio è equilibrio, non è che puoi far pesare tutte cose da un lato, perché rompi. Tiri la corda e la rompi Zio Ninì … perché si è mangiato tutto, ha portato alla distruzione”. E Anello è d’accordo: “Alla distruzione, ha distrutto tutto”. Badagliacca continua: “No ma poi … Zu Ninì, lo sai che cosa è? Non è che uno, uno non è che vuole giustificare, perché uno nella vita fa una scelta e la deve portare sempre avanti fino alla morte, però ha portato al punto le persone a non credere più in quello che fa”.

Nel dialogo intercorso tra i due c’è poi un momento in cui traspare l’ammirazione per Tommaso Buscetta: “Io mi ricordo che la buonanima di tuo nonno quante volte siamo saliti la sopra che c’era quello il primo pentito, come si chiama? Buscetta! Sono andati a trovare Buscetta e tuo nonno mi diceva che era un cristiano con sette paia di coglioni Buscetta”, raccontava Anello. E l’altro aggiunge: “Ma perché dimmi una cosa ma che c’entra Buscetta … prima ancora di farsi pentito, prima che si ci faceva, gli ha ucciso tutta la famiglia”. Poi più in là nella conversazione riprende: “Ma ti sento dire io quando tu metti mano con gli sbirri ma che, ma che senti fare (ndr. vuoi fare)? Cioè proprio era diventato, ma poi pure, Zu Ninì non è nel Dna di questa cosa. Le bombe là fuori, fare morire gente innocente … Per dire: ‘vabbè facciamo morire uno innocente’, ma perché se muor…, muori tu, muore tua figlia a te ti piacerebbe? Che è innocente. Ma che cosa è stata Zu Ninì. Anzi uno al contrario dice: guarda (…inc…) ammazzare uno innocente, e allora lascialo vivo, quando è possibile si fa… Ma perché queste cose oneste sono? Cose di un cristiano che ha onore è?”. Riina e Brusca e i loro metodi non erano degni di Cosa nostra, secondo il giudizio dei due, mentre Bernardo Provenzano “vedi che non era così”, sottolinea Anello.

I contatti con Matteo Messina Denaro – “Allora tieni i contatti, anzi a me servono favori là … che là ci sono tutti i latitanti…”. Così parlava Antonino Rotolo, uno dei più noti alleati di Riina, in una conversazione registrata il 27 luglio del 2005. Rotolo si rivolgeva a Pietro Badagliacca, anche lui arrestato nell’operazione di martedì. Da tempo considerato “persona molto stimata e rispettata negli ambienti di vertice dell’intera organizzazione mafiosa, al punto che lo stesso capomandamento Antonino Rotolo aveva pensato a lui per tessere le alleanze con i capi dei mandamenti del territorio trapanese e con lo stesso Matteo Messina Denaro, facendo riferimento al mandamento di Castelvetrano”. A fare da tramite il figlio Angelo Badagliacca che passava i pizzini di Pietro a Rotolo per aggiornarlo sulle latitanze del trapanese: “Dice intanto che ha parlato con quello di Trapani per…”.

“Era emerso dunque, sin dai primi anni Duemila, non solo il ruolo di vertice assunto da Badagliacca Pietro, coadiuvato dal figlio Angelo, nella famiglia di Mezzo Monreale, ma anche la caratura mafiosa di entrambi, in ragione delle delicate attività fiduciarie loro riservate dal capomandamento, che i periodi di carcerazione sofferti, come si avrà modo di vedere, non hanno in alcun modo mitigato, al contrario accentuandone l’autorevolezza mafiosa sul territorio”. Un’autorevolezza che porterà il nipote Gioacchino ad accompagnare Bernardo Provenzano a Marsiglia dove sarebbe stato operato per un tumore.

La riunione – Un litigio tra zio e nipote apparentemente insanabile è all’origine di una riunione avvenuta a il 5 settembre del 2022 in un immobile di Michele Saitta, anche lui arrestato mertedì, in contrada Judeca di Butera, a Caltanissetta. Qui si incontra tutto il mandamento mafioso di Rocca Mezzo Monreale. A capo del mandamento ci sono i Badagliacca, una cupola solida grazie anche ai legami famigliari, i fratelli Pietro e Gaetano Badagliacca hanno spostato le sorelle Rosaria e Letizia Persico, figlie di Gioacchino, detto “u spurpato”. A capo del mandamento resta Pietro, l’unico ancora vivo di quella generazione – Gaetano è morto nel 2020 – e comanda, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, con l’aiuto del figlio Angelo e del nipote Gioacchino. Con quest’ultimo però le divergenze si divaricano sempre di più dopo la morte di Gaetano. Questioni ereditarie, in particolar modo riguardanti un posteggio, i cui proventi, dalla morte di Gaeatano, andavano pure al fratello Pietro. Un cambiamento che non era piaciuto a Gioacchino che nella riunione lamenta a più riprese la gestione manchevole dello zio a capo del mandamento, troppo concentrata nel fare soldi e solo per sé, non per la famiglia di Cosa nostra.

A dirimere la questione ci sono i fratelli Pasquale e Michele Saitta. La discussione va per le lunghe e a sfavore di Gioacchino, al quale lo zio Pietro aveva perfino “baciato le mani”, in segno di sottomissione per riconciliarsi. Un gesto che non è sufficiente per Gioacchino che a un certo punto paventa perfino l’ipotesi di uscire da Cosa nostra. Perché per lui Cosa nostra significa “la democrazia più totale”, perché nonostante l’apparato gerarchico “uno siamo la stessa cosa… perché fra me e te non ‘è differenza perché domani io posso essere il capofamiglia, domani posso diventare pure un… soldato, poi divento capo mandamento, poi divento soldato…’”. Ma con amarezza Gioacchino propone il suo “passo indietro: forse è la cosa migliore… me ne vado a lavorare”. A questo punto però è lo zio Pietro che gli ricorda che non è possibile: “Vedi che è più difficile entrare che ad uscirne”. Una decisione di un passo indietro ma solo “temporaneo” casomai avrebbe potuto prenderla solo chi lo aveva battezzato, ovvero il suo “padrino” che però non può perché è in carcere. A quel punto finalmente Gioacchino capitola: “Ascolta zio… abbracciami, qua sono”, “minchia, sangue mio”, esclama lo zio, finalmente risollevato.

Risolta finalmente la diatriba in famiglia, si può passare a decidere l’omicidio dell’architetto Attilio Dimitri, che aveva fatto un torto a Gioacchino. L’omicidio verrà deciso durante quella riunione ma sventato poi proprio dai carabinieri che avevano ascoltato tutto. E Saitta lo aveva previsto: “… Gioacchino ci sono delle azioni che si fanno e che possono portare a delle conseguenze …omissis … perché tu fai una cosa di queste … nel frattempo le Forze dell’Ordine … omissis … le Forze dell’Ordine aumentano i controlli …omissis … si complicano le cose”.

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