Ucraina, la purga tempestiva di Zelensky per lo scandalo corruzione è stata spettacolare
Guerra Pulita. Colossale repulisti a Kyiv. Zelensky annuncia di combattere anche sul fronte interno contro i nemici subdoli di casa, i media denunciano che dovrebbe fare pure “la guerra contro i maiali delle retrovie”, i profittatori, i pescecani annidati nei ministeri, nei governatorati, e persino nella stessa presidenza, “i porci” che lucrano sui viveri destinati all’esercito più che in tempo di pace. Il presidente ucraino liquida cinque governatori regionali (Kiev, Dnipropetrovsk, Zaporija, Soumi, Kherson), quattro viceministri, due responsabili di agenzie governative dei Trasporti marittimi e fluviali, un alto magistrato, uno dei suoi più stretti collaboratori: li costringe a dimettersi o li licenzia in tronco.
Smascherati dagli 007 del Nabu, l’ufficio nazionale anticorruzione istituito nel 2015 (seppure dotato di scarsi mezzi e appena 700 dipendenti), ma soprattutto incalzati dalle inchieste giornalistiche che da qualche mese impavidamente tengono sotto tiro il Palazzo svelando gli intrallazzi del potere all’ombra della guerra. Stavolta, però, la corruzione riguarda la Difesa, gli approvvigionamenti “gonfiati” e saccheggiati: intacca cioè la recente mitologia e l’onore del Paese, mette in cattiva luce la gestione della logistica e della ricostruzione.
Un sabotaggio? Anche. Perché le conseguenze potrebbero essere spaventose, a livello di opinione pubblica internazionale e anche sul delicato piano delle cancellerie “tiepide” nei confronti della causa ucraina. Per questo Zelensky ha agito in modo rapido e clamoroso, con una purga spettacolare. Ha cercato di dare un segnale preciso e coerente al mondo e uno, più rabbioso ed intollerante, a casa, a coloro che non hanno smesso di derubare lo Stato e i cittadini onesti. Non ha potuto né voluto rinviare la resa dei conti, adducendo la priorità alle contingenze belliche. Non in questi cruciali giorni in cui chiede agli alleati occidentali ancora più soldi e soprattutto i carri armati Leopard 2 della riluttante Germania.
L’offensiva dei russi è alle porte. Se i generosi finanziatori cominciassero ad avere seri dubbi sulle reali destinazioni dei loro miliardi e se pensassero che l’Ucraina è troppo corrotta – ha una nomea tossica, l’ong Transparency International che monitora l’indice di percezione della corruzione nel mondo pone l’Ucraina al 122esimo posto su 180 (la Russia è peggio, 136esima, ma noi non dobbiamo gioire, siamo 42esimi, lontani da Francia, Germania, Gran Bretagna, per non parlare degli scandinavi o degli svizzeri…).
L’imbarazzo e il furore di Zelensky sono evidenti: non era il suo cavallo di battaglia la lotta alla corruzione? Non si è presentato (e continua a presentarsi) come l’uomo nuovo della politica ucraina che promette una rottura generazionale con l’élite al potere dall’indipendenza (1991)? E ogni volta che perora la causa dell’Ucraina, non la presenta come un Paese democratico, che rispetta lo Stato di diritto e che si vanta di combattere la corruzione, come si aspettano gli amici occidentali? “Il mio Paese ha tutti gli strumenti per riuscirci”, ha detto più volte Zelensky. E ora, ecco che la cronaca impietosamente pare smentirlo.
In realtà, continuano a convivere due Ucraine (così spiegano gli analisti): il vecchio stato cleptocratico post sovietico, in cui la corruzione ha un ruolo egemone; e l’Ucraina in formazione, filoccidentale e filoeuropea, che tenta di emanciparsi da quel canone. Ebbene, nonostante l’invasione russa, il fatto che il 20 per cento del personale Nabu sia stato inviato al fronte e che dei 40 procuratori specializzati in questa lotta 12 siano stati arruolati, nei primi sei mesi del 2022 sono stati presentati atti d’accusa contro 61 sospetti di corruzione, ossia il 40 per cento in più rispetto a tutto il 2021. Nel 2016, 118mila politici, grandi burocrati, magistrati e alti funzionari regionali sono stati costretti a denunciare le loro fortune grazie ad una legge suggerita da Fmi e Ue. Al punto che alla Rada, il parlamento ucraino, i politici hanno tentato di depotenziare la Nabu.
Valeria Gontareva ne sa qualcosa, di queste feroci resilienze. Nominata a capo della Banca Centrale, è stata costretta a dimettersi nel 2017, quattro anni prima che scadesse il suo mandato, dopo aver subìto minacce, avvertimenti di stampo mafioso, vandalismi domiciliari. Aveva osato sfidare la PrivatBank (25milioni di clienti e un portafoglio di 6mila aziende) del potentissimo Ihor Kolomoisky, l’archetipo della banca di oligarca, quella che attira il risparmio dei privati e li investe in asset stranieri. Non che non ci fosse corruzione anche dentro la stessa Banca Centrale: tant’è che ha dovuto riorganizzarla e tagliare il personale, passato da 12mila unità a 7mila. Il suo zelo l’ha portata a chiudere 89 istituti bancari che non avevano i requisiti necessari (venti di essi erano vere e proprie lavatrici di denaro sporco).
Si procede a sprazzi. Del resto, il lupo perde il pelo, non il vizio. Come dimostrano gli eventi di questi giorni. La guerra è una tentazione…
Così, arriviamo all’altro giorno. E’ il 21 gennaio quando sul settimanale Zerkalo Nedeli (“Lo specchio della settimana”, si rintraccia on line cliccando ZN, UA) viene pubblicata l’inchiesta che svela uno scandalo insopportabile per chi soffre lutti e distruzioni sotto i bombardamenti russi e combatte da undici mesi l’altra guerra, quella della sopravvivenza e della precarietà: una gigantesca truffa perpetrata ai danni dello Stato sugli approvvigionamenti alimentari destinati all’esercito ucraino, tramite una società ombra che ha sovrafatturato le forniture, due o tre volte i prezzi calmierati sui beni essenziali. Il raggiro, secondo il settimanale di Kyiv fondato nel 1994 e diretto da Yulia Mostova, avrebbe fatturato 330 milioni di dollari (oltre 303 milioni di euro). Notizia devastante, perché fa più danni di un supermissile russo esploso nel centro della capitale.
Il Cremlino non poteva sperare di meglio: l’ignobile imbroglio, emerso come la punta di chissà quale iceberg della corruzione, scuote le fondamenta dello Stato e condiziona i piani del presidente Zelensky. Teme che possa rinverdire pregiudizi antiucraini, e che resusciti dossier come la relazione speciale “23/2021” della Corte dei Conti europea – disponibile in 23 lingue – intitolata “Ridurre la grande corruzione in Ucraina: diverse iniziative Ue, ma risultati ancora insufficienti”, dove si parla addirittura di “cattura dello Stato” da parte degli oligarchi e degli “interessi costituiti”, dove si denuncia “l’abuso di potere ad alto livello a beneficio di pochi” che reca “danni gravi e diffusi ai singoli cittadini e alla società”.
Sullo sfondo di questo scenario, si inserisce e deflagra l’inchiesta di Zerkalo Nedeli che scatena la giusta indignazione degli ucraini, furibondi per i continui ladrocinii. Zelensky, col fiuto del teatrante, capisce di dover agire senza reticenze e senza paura. Tuttavia, l’immediata reazione del ministero della Difesa, che rinnega ogni addebito ed ogni coinvolgimento, anzi, affida allo Sbu (i servizi di sicurezza) il compito di indagare sulla “pubblicazione di false informazioni nocive agli interessi della nazione”, pare figlia del vecchio regime. Intimidazioni. Si minaccia chi ha rivelato la corruzione, non i corruttori. Ma è can che abbaia. Il giorno dopo, infatti, Vassyl Lozinsky, viceministro delle Infrastrutture, viene beccato col sorcio in bocca, come si suol dire, mentre sta intascando una tangente di 400mila dollari. A coglierlo con le mani nel sacco è la polizia anticorruzione della Nabu.
Non basta. Fa sapere che sono parecchie le inchieste in corso. Il 23 gennaio Oleksij Reznikov, il ministro della Difesa, è costretto a rimediare, lo fa però in modo maldestro. Scive sulla sua pagina di Facebook che il contratto delle forniture comportava “un errore tecnico”, non senza minacciare la stampa che “dovrà rispondere dei suoi atti”. Peccato che fonti vicine agli inquirenti confermino che è stata aperta un’inchiesta penale.
La presidenza va ben oltre. Annuncia i nomi dei reprobi e il loro brusco allontanamento, preludio, si intuisce, di ulteriori indagini e rinvii a giudizio. La tempestività di Zelensky è apprezzata. Una mossa sia tattica che strategica. Oltre ai cinque governatori e ai quattro viceministri, spicca il nome di Oleksiy Symonenko, vice procuratore generale. Secondo l’influente giornale Ukrainska Pravda, il magistrato è andato in Spagna a trascorrere le vacanze, violando il divieto che impedisce di espatriare a chi è in età per combattere, salvo fini professionali.
Un dettaglio ha imbufalito la gente: Symonenko ha utilizzato l’auto di un ricco uomo d’affari e ha viaggiato con una guardia del corpo. Mentre Valentin Reznitcenko, governatore di Dnipropetrovsk, già a novembre era stato accusato dai media per degli appalti (riparazioni di strade ed infrastrutture, si parla di decine di milioni di euro) assegnati ad un gruppo fondato dalla sua amante, una insegnante di fitness. Lui è uno dei cinque governatori silurati da Zelensky, mentre i viceministri dimissionari sono Vjateslav Chapovalov (Difesa, si occupava dell’appoggio logistico delle forze armate), Vitali Mouzytcenko (Politiche sociali), Ivan Lukeria e Vjatcheslav Negozi (Sviluppo del Territorio).
Quanto a Kyrylo Tymochenko, dello staff presidenziale, supervisionava i progetti di ristrutturazione delle infrastrutture danneggiate. Ciò che lascia perplessi è che sia scampato sinora a numerosi altri scandali, prima e durante l’invasione. Lo scorso ottobre, per esempio, gli hanno rinfacciato l’uso di un grosso 4×4 della General Motors che lo aveva donato per fini umanitari. Kyrylo ha goffamente rimediato, annunciando di averlo trasferito vicino al fronte.
Piccole e grandi emblematiche storie di ordinaria corruzione, in un Paese dove tale pratica si estende su tutto l’apparato statale, nel mondo della politica, del governo e delle attività industriali e finanziarie. La guerra forse aiuterà a ridurne la voracità. Ma c’è chi dubita: la grande torta da spartire sarà quella della ricostruzione, una pappatoria che attirerà il meglio del peggio mondiale. E comunque, per Zelensky, non tutto il male viene per nuocere. Nella serata del 24 gennaio – il giorno cioè della Grande Purga – qualche agenzia d’informazione scrive che forse la Germania darà il via libera alla consegna dei Leopard 2. Spera, il buon Zelensky, che non piglino la… tangente.
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