Donzelli, maggioranza spaccata sul presidente del Gran giurì: Mulè ‘sgradito’, tocca a Costa

Lavori in corso con tanto di spaccatura sulla presidenza del Giurì d’onore che dovrà esaminare il caso Donzelli. La poltrona spetterebbe, per regolamento e consuetudine, a un vicepresidente della Camera, ma rischia una sorta di assegnazione in automatico per volere della stessa persona che ha portato alla composizione. Fabio Rampelli non potrà presiederlo perché è di Fratelli d’Italia come Giovanni Donzelli, mentre lo stesso deputato meloniano vorrebbe che fosse scartata la prima ipotesi in campo, quella di Giorgio Mulè di Forza Italia. Donzelli non avrebbe gradito le sue critiche: “Visto come si è comportato, meglio il pentastellato Sergio Costa”, il senso del suo pensiero secondo i retroscena. Un’ipotesi che conclamerebbe una spaccatura nella maggioranza sul caso della reclusione al 41 bis di Alfredo Cospito, l’anarchico in sciopero della fame da oltre 100 giorni, e le rivelazioni fatte da Donzelli a Montecitorio.

Tutto è nato per volere del Pd, dopo le accuse per la visita in carcere a Cospito e i suoi dialoghi con i mafiosi reclusi al carcere duro. I dem hanno chiesto l’applicazione dell’articolo 58 del regolamento della Camera sentendosi “accusati” dal deputato di FdI di fatti che “ledono l’onorabilità” e ora spetta al presidente Lorenzo Fontana il compito di nominare una commissione che giudichi la fondatezza “dell’accusa”. La formazione sarà annunciata venerdì alla Camera. I precedenti lasciano ipotizzare che il format sarà a 3 o a 5 componenti, come accaduto nelle precedenti circostanze. La composizione della commissione deve in ogni caso rispettare gli equilibri tra maggioranza e opposizione e avere un limite di tempo stabilito allo scadere del quale dovrà terminare i suoi lavori.

Si tratta, dunque, di uno strumento eminentemente interno, che come è stato più volte autorevolmente ribadito, non ha poteri assimilabili a quelli dei magistrati e il suo ambito di azione è esclusivamente nel perimetro interno del Parlamento. Si tratta di un retaggio ottocentesco, che era già previsto nel Parlamento del Regno d’Italia. Nella Prima Repubblica si è fatto spesso ricorso al Giurì d’onore. Famosi sono rimasti quelli che riguardarono il democristiano Paolo Cirino Pomicino e il socialista Franco Piro e, ancor prima, quello tra il missino Giorgio Pisanò e il democristiano Bisaglia. Nella Seconda Repubblica a subirlo un paio di volte fu Franco Barbato di Italia dei Valori. A volte il giurì viene evitato se preceduto dalle scuse dell’”accusato”. L’unico Giurì d’onore che si ricorda essere stato presieduto dallo stesso presidente della Camera – non è da escludere che Fontana tenga la presidenza per sé, in questo caso – è quello (era il dicembre 1999) su una presunta vicenda di “compravendita” di parlamentari che vedeva coinvolti l’ex leghista Paolo Bampo e Luca Bagliani dell’Udeur. Presieduto da Luciano Violante, venne composto anche dai quattro vicepresidenti di Montecitorio.

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