Stipendi, i rischi della paga minima: più nero, stipendi al ribasso, e meno garanzie sul lavoro
Troppi rischi di salari al ribasso, meno garanzie e più irregolarità. É curioso che il no di Giorgia Meloni al salario minimo per legge si poggi da una parte sull’obiettivo di aumentare i salari dei lavoratori italiani, obiettivo sul quale il premier si trova di in linea con Confindustria che punta sulla leva del taglio al cuneo fiscale, e dall’altra sul timore di smontare la contrattazione collettiva e penalizzare i lavoratori, un tema molto caro ai sindacati. Dalla Cisl alla Uil e, con qualche differenza nel percorso anche la Cgil, i sindacati sono infatti contrari alla fissazione del salario minimo per legge. Si tratta di un doppio allineamento perfetto, dal valore storico, che si spiega bene con le ragioni di fondo che uniscono anche lavoratori e industria contro il salario minimo legale. Non soltanto il governo. Vediamo quali sono.
LA CONTRATTAZIONE
Il dossier, va ricordato, fa parte dei cavalli di battaglia nella passata legislatura del M5S: in Parlamento è depositato un disegno di legge, con prima firmataria l’ex ministra Nunzia Catalfo, che punta a introdurre una base retributiva minima di 9 euro l’ora richiamando uno strumento presente in 22 Paesi dell’Unione Europea. Ma una mozione approvata a fine novembre in Parlamento ha di fatto messo definitivamente una pietra sopra alla possibilità di istituire una legge sul salario minimo legale nel corso di questa legislatura. E lo ha fatto snocciolando tutti i motivi di questo no: dal rischio di svilire la contrattazione collettiva, a quello di favorire le irregolarità e addirittura penalizzare le buste paga.
La stessa premier Meloni dice infatti che in un contesto come quello italiano, caratterizzato da una elevata copertura della contrattazione collettiva e da un elevato tasso di lavoro irregolare, la soluzione non è la fissazione di un salario minimo legale. Anzi, si rischia di creare, per molti lavoratori, condizioni peggiori di quelle che hanno oggi: «Finirebbe per fare un altro grande favore alle grandi concentrazioni economiche che hanno come obiettivo rivedere al ribasso i diritti dei lavoratori», ha tuonato ieri con evidente riferimento a big come Amazon.
Anche i sindacati, preoccupati di un rischio salari al ribasso verso il minimo e stop ad integrativi e welfare, in mancanza della contrattazione collettiva, invocano il compromesso ipotizzato dal governo Draghi. Nessun salario per legge, basta prendere, dicono, i minimi contrattuali di riferimento di ciascun settore, come risulta dall’Inps, e fare una legge di sostegno che deleghi alla contrattazione collettiva questo livello di riferimento, dicono la Cisl e la Uil. Mentre la Cgil sostiene che sia necessario fare prima anche una legge sulla rappresentanza che stabilisca, quali sono i contratti più rappresentativi.
IL NODO CUNEO FISCALE
Dunque anche per i rappresentanti dei lavoratori sindacati va solo valorizzata la contrattazione collettiva. Ed è su questa strada che intende muoversi il governo Meloni, Del resto come ricorda la mozione approvata in Parlamento, l’Italia gode di una contrattazione collettiva che copre l’85% dei lavoratori. Numeri di fronte ai quali non c’è obbligo di salario minimo, dice la Direttiva europea. Il sistema collaudato in Italia, che garantisce una serie di misure, tra TFR, malattia, ferie, permessi, tredicesima, quattordicesima, previdenza complementare, sanità integrativa e welfare aziendali, pone in molti casi i salari a livelli più alti di un’ipotetica soglia di minimo. La stessa Confindustria, che finora si è un po’ chiamata fuori dal dibattito, ha sempre ribadito che il salario minimo può essere una strada per garantire condizioni e paghe adeguate in quegli ambiti che oggi sono interessati da contratti pirata. Ma questo non è il caso dei contratti nazionali firmati da Confindustria, dove anche le qualifiche più basse prevedono cifre superiori ai 9 euro lordi l’ora previsti dal salario minimo. In quello dei metalmeccanici, per esempio, il terzo livello si attesta a 11 euro: il più alto di quelli nazionali della categoria. Altro contesto evidentemente è quello di altri settori, un po’ più deboli, su questo fronte, come quelli del commercio e della logistica. Ecco perché Meloni ha detto che la soluzione «è estendere i contratti collettivi a vari settori e intervenire per ridurre il carico fiscale sul lavoro». La ragione dei salari inadeguati è la tassazione troppo alta per le imprese che devono assumere. Le imprese sono d’accordo. E allora meglio ridurre ancora le tasse sul lavoro come confermato dalla Legge di Bilancio 2023. Lo dice il governo. Ne sarebbe contenta Confindustria, e ci sarebbero benefici certi per i lavoratori.
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