Festa del papà, Chiara Ionio: «La rimozione penalizza i bambini, le tradizioni ci spingono a pensare»

“Mettere la testa sotto la sabbia e far finta che le feste non ci siano non aiuta nessuno”, spiega Chiara Ionio, professoressa di psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’Università Cattolica di Milano, a proposito della decisione della preside di una scuola di infanzia di Viareggio che ha annullato la festa del papà “perché non esiste più una famiglia modello”. “I bambini si aiutano a superare i momenti difficili della loro vita accompagnandoli nella verità e nella conoscenza – rimarca invece Ionio – Più noi edulcoriamo la realtà, più loro non imparano ad affrontarla”. 

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Perché è corretto festeggiare questa ricorrenza? 

“Nell’assoluta libertà, è giusto proporre le feste che ciascuno pensa sia importante festeggiare: la festa del papà, della mamma, dei nonni, san Valentino; è chiaro che ci sono feste che alcuni festeggiano e altri no. Dal punto di vista evolutivo, i bambini imparano a comprendere che non tutti siamo uguali, non tutti abbiamo le stesse esperienze di vita, ma questo non vuol dire che chi ha il papà sia meglio o peggio di chi non ce l’ha. Piuttosto, dobbiamo valorizzare quello che ognuno ha”.  

In che modo? 

“I bambini lo sanno già che esiste questa festa: viene ricordata in quasi tutte le scuole, anche in televisione se ne parla. Quindi, il lavoro che bisogna fare come educatori e come genitori è quello di dare le risorse ai bambini per capire che loro in questo caso non festeggiano la ricorrenza della festa del papà perché hanno situazioni diverse: quindi, spiegando che i figli di coppie omosessuali hanno due mamme e gli altri ne hanno una sola, pertanto la festa della mamma la festeggiano due volte. Ripeto, occorre valorizzare le differenze perché solo così non si creano le diseguaglianze”.  

È quindi sbagliato creare una sorta di bolla? 

“Più tengo il bambino nella bolla più si sentirà diverso. Se invece potrà parlare tranquillamente con gli altri bambini e portare la sua esperienza, gli altri non lo considereranno diverso e lui non si sentirà così. Ma in realtà siamo forse noi adulti che ogni tanto diamo delle accezioni di ‘diverso’ laddove i bambini non le colgono neanche”.  

E per proteggere i bambini che un papà non ce l’hanno più?  

“Ci deve essere l’elaborazione del lutto. È chiaro che se la perdita è recente sicuramente il bambino sentirà la mancanza: bisogna aiutare i bambini ad affrontare queste situazioni, a superare i momenti difficili della loro vita accompagnandoli nella verità e nella conoscenza. Più noi edulcoriamo la realtà, più loro non imparano ad affrontarla. Questo lo vediamo nei ragazzi di oggi che alla prima frustrazione vanno in crisi, perché c’è stata una tendenza educativa a togliere tutte le difficoltà nella loro crescita. Invece devono imparare che è la vita che va così, e che bisogna affrontarla. Quindi, la festa del papà per loro può essere un’occasione per ricordarlo, per ripensare alle cose belle fatte insieme”.  

Ma le feste tradizionali hanno ancora senso nella nostra società?  

“Queste tradizioni sono le nostre basi, la nostra storia. Negarle, dal punto di vista psichico, equivale ad una negazione, che è un meccanismo di difesa, ossia un modo per non affrontare una realtà. Questo vale anche in generale: abbiamo davanti la sfida di una società multietnica, multiculturale, con diversi orientamenti sessuali, ma questo non vuol dire che io non possa tenere un piede nelle tradizioni, perché sono le mie radici. Se invece tolgo questo pezzo della mia storia, l’albero muore e quindi non sopravvivo”.  

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