Reddito di cittadinanza, caos giudiziario: i pm contestano il reato, ma nel 2024 sarà cancellato

L’ultimo atto, probabilmente non definitivo, del “pasticcio” generato dall’abrogazione di tutta la norma che regola il reddito di cittadinanza, incluso il reato contestato a chi lo percepisce illegalmente, è andata in scena qualche giorno fa a Roma. Con un pm che si è visto rimandare indietro gli atti dal gup per avere contestato l’articolo 7 della legge del 2019. Il giudice, che ha annullato la richiesta di rinvio a giudizio, lo ha invitato a ipotizzare una fattispecie di reato meno specifica e il sostituto si è rivolto con un ricorso alla Corte di Cassazione, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza, perché, spiega, la legge, ad oggi, è ancora in vigore. E con una nota di ironia sottolinea come non possa dirsi nullo un atto in virtù di un’abrogazione che sia soltanto prevista. Anzi, il pm evidenzia come rispettare l’ordinanza del giudice lo costringerebbe a violare la legge e la costituzione.

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ATTO ABNORME

«Un atto abnorme perché determina un’ingiustificata stasi del procedimento». Così il sostituto procuratore Carlo Villani, nel suo ricorso in Cassazione, definisce l’ordinanza con la quale il giudice dell’udienza preliminare ha annullato la richiesta di rinvio a giudizio per un uomo che aveva indebitamente percepito il reddito di cittadinanza, ottenendo il sussidio sulla base di dichiarazioni e documentazione falsa. «Il giudice – si legge nel ricorso – partendo dal presupposto che la disposizione (articolo 7 della legge 4/2019) è stata abrogata a decorrere dal 1 gennaio 2024 ha ritenuto che non possa più essere contestato il delitto di false attestazioni per l’ottenimento del reddito di cittadinanza e che invece dovrebbe essere contestata un’altra fattispecie di reato non indicata ma presumibilmente individuabile nel delitto di indebita percezione di erogazioni pubbliche». E spiega: «Alla data odierna non sussiste alcuna ipotesi di tale tipo e un siffatto, ma soltanto apparente, problema potrà eventualmente verificarsi a partire da gennaio 2024». Quindi sottolinea che la futura abrogazione della norma non comporta alcuna abolitio criminis. Secondo il pm «Il giudice ha pertanto esercitato un potere non previsto dall’ordinamento ponendo in essere un atto abnorme, che ha prodotto un effetto al pari abnorme e cioè l’indebito regresso dell’azione penale e una stasi del procedimento».

LE ALTERNATIVE

Nel ricorso, Villani sottolinea che, a fronte di questa ordinanza del giudice, gli si prospettano tre alternative: violare l’articolo 15 del codice penale, secondo il quale quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disciplina speciale deroga alla legge o alla disposizioni di legge generale. E quindi qualificare il fatto come indebita percezione di erogazioni pubbliche; violare il principio costituzionale della ragionevole durata del processo sancito, attendendo il 1° gennaio 2024, quando avrà effetto l’abrogazione della norma. O, infine violare l’ordinanza del gup riproponendo la richiesta di rinvio a giudizio contestando l’unico delitto contestabile alla data odierna. 

L’ANNULLAMENTO

Secondo il pm l’ordinanza determina «la stasi ingiustificata e ingiustificabile» del provvedimento «non potendo il pm essere costretto a porre in essere atti contrari alla legge o alla Costituzione o ai provvedimenti dei giudici». Villani chiede quindi alla suprema Corte l’annullamento del provvedimento, anche con una nota di ironia verso il collega del Tribunale: «Va rilevato – si legge sempre nel ricorso – come con l’ordinanza impugnata il giudicante abbia introdotto nel codice di procedura penale – una nuova causa di nullità che potrebbe definirsi nullità anticipata per abrogazione posticipata».

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