Decolonizzare Firenze: perché una città diversa è possibile

di Ilaria Agostini*

L’urbanistica svuotata del suo mandato sociale, redistributivo ed emancipatorio, ha costituito una privilegiata via d’accesso ai grandi capitali internazionali che negli ultimi decenni sono stati richiamati a Firenze, riducendola allo stato di colonia, rapinata ed eterodiretta. Come gruppo Urbanistica perUnaltracittà immaginiamo una Firenze diversa, una città che riprende in mano il potere di pianificarsi e di disegnare un futuro desiderabile di convivenze urbane.

Decolonizzare Firenze significa, a parer nostro, agire secondo i principi che animarono la liberazione nonviolenta dell’India dal giogo inglese, e che rileggiamo oggi attraverso la lente bioregionale.

Autogoverno innanzitutto, da perseguire – ad esempio – con il contrasto all’elezione diretta del sindaco e con il decentramento territoriale delle decisioni politiche (nei centri minori, quartieri ecc.).

Autonomia, poi, intesa come arte di darsi le proprie regole, e (per quanto ci concerne) di darsi un’urbanistica fondata sul fabbisogno della popolazione anziché sul desiderio di profitto;

Autosostenibilità infine, ossia attribuzione di valore fondativo alle relazioni tra popolazioni e ambiente.

Per illustrare velocemente l’altra Firenze possibile, portiamo all’attenzione quattro temi: suolo, spazio pubblico, casa, grandi opere.

1) Suolo, o meglio: azzeramento del consumo di suolo e inversione di tendenza attraverso la sua riparazione e restituzione.

Com’è noto, infatti, il suolo artificializzato è causa di catastrofi artificiali: dissesto idrogeologico; fratture ecosistemiche; aumento delle spese pubbliche (l’Ispra calcola che ogni nuovo ettaro consumato rappresenta, per la collettività, un costo – occulto – di circa 100.000 euro annui).

Quale possibile resistenza a questi sprechi immaginiamo la cancellazione della prevista trasformazione speculativa dell’aera OGR – 54.000 mc – e della strada a quattro corsie tra Porta al Prato e via Pistoiese, che, lambendo i pianificati quartieri extralusso ex OGR, collegherebbe direttamente centro storico e aeroporto implicando il sacrificio di 12 ettari di suolo.

Immaginiamo dunque di riparare e restituire suolo: destinando l’area a verde pubblico per i quartieri di San Iacopino-via Baracca, tra i più poveri di verde in città, creando un sistema di connessioni con le Cascine; insediandovi aree sia per l’agricoltura urbana, sia per quegli eventi non più sostenibili dal parco delle Cascine o dalle piazze storiche; riparando l’ecosistema del canale Macinante in attuazione del Piano Paesaggistico.

2) Il secondo tema – lo spazio pubblico – richiama la questione della dismissione e svendita degli edifici pubblici che, se ben riutilizzati (non è il caso del comando Nato nella caserma di Rovezzano), potrebbero costituire i polmoni per l’aggregazione sociale nei quartieri. Immaginiamo dunque la fine delle vendite e delle aste al ribasso. Il Comune di Firenze, approfittando del diritto di prelazione (e del finanziamento di una auspicabilmente rinovellata CDP), provvederà alla formazione di un demanio comunale atto a fornire luoghi di emancipazione dalla condizione periferica, nei quali la cittadinanza è chiamata in causa nell’espressione dei bisogni e nel progetto delle trasformazioni urbane.

È questa la sicurezza sociale, non il securitarismo, non le videocamere, né la smart city rimasticata da politici mutilati nell’immaginario

3) Sul tema della casa e dell’esclusione sociale che va di pari passo con la valorizzazione parossistica della rendita, immaginiamo almeno: case popolari nei grandi edifici dismessi (dando seguito all’esempio delle Murate riconosciuto come positivo); “vere” case dello studente pubbliche, non più studentati di lusso; alloggi temporanei per un’accoglienza (magari migrante) gratuita e dignitosa; immaginiamo maggior facilità di accesso agli alloggi popolari; e l’incremento delle pratiche di autocostruzione (sull’esempio di via Aldini o ex Asilo Ritter).

4) Le grandi opere costituiscono il tema su cui si conclude questo breve scenario progettuale.

Riconosciamo nel Sistema Grandi Opere una fonte di spreco di denaro pubblico; una causa di catastrofi evitabili; nonché il motore di scelte che intendono apparire come le uniche possibili quando invece ai mal progettati tunnel Tav, alle mal progettate tramvie e all’inutile ampliamento dell’aeroporto le alternative esistono.

E perciò immaginiamo, a questo proposito, almeno due azioni: l’immediata rinuncia al tunnel Tav in favore del progetto alternativo redatto da Università di Firenze e NoTunnelTAV per il passaggio ferroviario in superficie; l’immediata rinuncia all’ampliamento dell’aeroporto (550 ettari nella Piana a rischio inondazioni) in favore del potenziamento della linea ferroviaria Firenze-Pisa con check in a Santa Maria Novella.

*Il testo è la trascrizione dell’intervento tenuto dall’autrice, all’incontro “Per una città solidale, giusta, sostenibile e aperta” organizzato dall’associazione “11 Agosto” promossa da Tomaso Montanari e Daniela Morozzi (10 febbraio 2024, Teatro Puccini).

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