Ilaria Salis, è il giorno del verdetto: l’obiettivo della difesa è ottenere quanto meno i domiciliari

Potrebbe esserci un po’ di luce nel «pozzo profondissimo» nel quale è caduta Ilaria Salis, oppure potrebbe essere un’altra giornata in cui finirà «per precipitare più in profondità»: toccherà al giudice ungherese Jozsef Sòs stabilire oggi se la docente 39enne, in carcere da 13 mesi con l’accusa di aver aggredito tre militanti di estrema destra, potrà scontare la misura cautelare dei domiciliari in Ungheria o se dovrà restare ancora nel carcere di massima sicurezza di Gyorskocsi Ucta.
Udienza molto attesa da Ilaria Salis e dai suoi familiari quella che si celebrerà nel tribunale di Budapest, e servirà anche per capire se il lavoro diplomatico italiano è servito ad ammorbidire un governo come quello ungherese che finora ha tirato dritto nella sua linea di fermezza nei confronti dell’antagonista milanese. Ed è questo che preoccupa maggiormente Roberto Salis, il padre di Ilaria, arrivato ieri con la moglie a Budapest per l’ennesimo viaggio con la speranza di riportare loro figlia in Italia. Quello è l’obiettivo finale con la richiesta di domiciliari in Italia o, in subordine, in Ungheria già depositata ieri. E «dopo tutto quello che è successo e dopo quanto si sono esposte, sarebbe imbarazzante per le istituzioni italiane se domani le venissero negati i domiciliari», ha detto Roberto Salis.
A sostenere la sua causa ci sarà una delegazione di parlamentari dell’opposizione, dal Pd al M5S, da Avs a Italia Viva, ma «è un peccato che ci siano solo loro perché un tema di diritti civili e di stato di diritto come questo andrebbe sostenuto da tutti». Ci sarà anche Michele Rech, alias Zerocalcare, che ha disegnato per Internazionale «il pozzo» che l’antagonista milanese poi ha citato nel suo diario.
Proprio la visita in carcere è stato il primo impegno della giornata della famiglia Salis che poi nel pomeriggio ha incontrato anche il disegnatore romano, assieme a Ilaria Cucchi e Nicola Fratoianni. Ilaria «sta bene per quanto può esserlo una persona che passa 23 ore al giorno chiusa in cella», ha spiegato il padre che l’ha definita «fiduciosa e speranzosa» non tanto per i domiciliari in Italia, già negati più volte dalla corte ungherese, quanto per quelli in Ungheria che le consentirebbero di affrontare quanto meno fuori dal carcere un processo che si prospetta lungo.
Quella di oggi arriva 13 mesi dopo l’arresto e sarà in sostanza la prima udienza, dopo quella preliminare di fine gennaio in cui venne portata in aula con manette ai polsi e catene alle caviglie, con un’altra catena a un polso tenuta come un guinzaglio da un’agente della polizia penitenziaria. Un trattamento che la giustizia ungherese riserva a chi appartiene a un’associazione terroristica.

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