Chi è Chico Forti: il mistero della morte di Dale Pyke a Miami nel 1998

Francesco ‘Chico’ Forti, che ha lasciato il carcere di Miami in attesa del trasferimento in Italia, è probabilmente il più famoso dei circa duemila italiani detenuti nel mondo. Trentino, 65 anni, per oltre vent’anni è rimasto chiuso in carcere negli Stati Uniti, condannato all’ergastolo per un omicidio, compiuto materialmente o attraverso terzi, e che lui sostiene di non aver mai commesso. Nel 2000 Forti venne ritenuto colpevole dell’assassinio di Dale Pike, il cui corpo era stato ritrovato su una spiaggia di Miami nel 1998.

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Le accuse e la difesa

Secondo l’accusa, Forti lo avrebbe fatto uccidere perché si era messo in mezzo a un affare immobiliare. Il padre della vittima, Tony Pike, scomparso nel 2019, si era convinto a cedere all’italiano il Pikes Hotel di Ibiza, un albergo molto celebre, dove erano stati girati video musicali negli anni ’80, tra cui il «Club Tropicana» con gli Wham!. Il figlio era convinto che Forti avesse portato avanti un’operazione di raggiro. Da ventiquattro anni Forti rivendica la propria innocenza, e sostiene di aver subito un abuso giudiziario. Dalla sua parte si sono schierati in molti, da cittadini a ex magistrati. Molte le richieste di fare luce su come erano state condotte le indagini.

Le incongruenze e la sentenza

Un’inchiesta televisiva della Cbs aveva messo in luce una serie di incongruenze, anche se la giornalista era riuscita solo a contattare le parti favorevoli al condannato e a offrire un racconto parziale della storia. In questi anni gli stessi italiani si sono divisi tra innocentisti e colpevolisti, e qualche complottista ha legato il delitto a uno molto più celebre: la morte dello stilista Gianni Versace. Resta la storia di questo italiano, documentarista di sport estremi e imprenditore nel ramo immobiliare, che nel ’98 aveva conosciuto Tony Pike, con il quale aveva poi raggiunto un accordo per acquistare l’hotel di Ibiza.

L’omicidio di Dale Pike

Nei giorni della firma per chiudere l’affare, il figlio di Pike, Dale, era andato a Miami per incontrare Forti. Secondo l’accusa, voleva annullare tutto. Secondo la difesa, non era intenzionato a mettersi in mezzo. Il mistero comincia all’aeroporto di Miami. Forti doveva andare a prendere il suocero a Fort Lauderdale e temeva di fare tardi, ma aveva deciso lo stesso di andare a ricevere Dale per dargli un passaggio. I due erano entrati in auto insieme, ma a questo punto le storie divergono: secondo l’accusa, Forti lo portò in spiaggia e lo fece uccidere. Secondo la difesa, i due si erano lasciati per strada e l’imprenditore era andato a prendere il suocero.

Le prove e le incongruenze

La sera del 16 febbraio era stato ritrovato il corpo di Dale, completamente nudo, in un boschetto vicino alla spiaggia di Virginia Key. L’autopsia aveva stabilito che l’omicidio era stato commesso la sera prima, tra le 18 e le 19:16. Accanto al corpo erano stati ritrovati pochi documenti, che sembravano messi lì per arrivare a una facile identificazione: il biglietto aereo per Miami, un ciondolo del Pikes Hotel, il passaporto e una scheda telefonica, sui cui, avrebbe scoperto la polizia, erano registrate tre telefonate a Forti. Da quel momento l’italiano è diventato l’unico sospettato.

L’interrogatorio e la condanna

L’imprenditore aveva spiegato agli investigatori di aver saputo della morte dell’amico solo il 18 febbraio e a New York, dove si sarebbe dovuto poi incontrare proprio con la vittima. Dal momento in cui il suo nome era finito sul taccuino degli investigatori, Forti è stato messo sotto pressione. Gli investigatori, per tendergli una trappola, gli dissero che era morto anche il padre della vittima, Tony Pike, anche lui diretto negli Stati Uniti. Forti, entrato nel panico, a quel punto aveva raccontato di non aver mai incontrato la vittima. Poi, il giorno dopo, aveva ritrattato tutto. Lui ha sempre sostenuto di averlo fatto volontariamente, mentre i poliziotti dicono che avesse deciso di farlo solo dopo che gli erano stati mostrati i tabulati telefonici.

Difesa e diritti violati

Secondo la difesa, l’italiano era stato interrogato a lungo e senza che gli fossero letti i «diritti Miranda», cioè il diritto ad avvalersi di un avvocato prima di rispondere alle domande. Non ci sono mai state prove per confermare una delle due versioni rilasciate riguardo le dichiarazioni rese da Forti, ma alla fine è stata presa per buona quella della polizia. L’italiano aveva mentito anche alla moglie, a cui aveva nascosto il fatto che fosse andato all’aeroporto a prendere Dale. Dalla somma di queste incongruenze, è nato il verdetto di condanna e la sentenza dell’ergastolo.

Il rimpatrio e le prospettive future

Adesso Forti tornerà in Italia, forse già entro due-tre settimane. Resterà rinchiuso in un edificio sorvegliato e blindato dell’Ufficio immigrazione, in attesa di essere imbarcato e rimpatriato. Ma intanto, ventiquattro anni dopo l’ingresso in prigione, per Forti è il primo positivo cambiamento nella sua vita.

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