Alessandro Olivetti, il poliziotto che ha salvato la sua ex professoressa dal suicidio: «Ci ho parlato attraverso la porta»

«Mi ricordavo che la mia ex professoressa abitasse all’Eur, quindi appena ho letto il nome sul citofono ho subito ricollegato. Mi sono fatto otto piani di scale di corsa, poi ho sentito lei urlare e non ho avuto più dubbi. Se non fossi riuscito a salvarla non me lo sarei mai perdonato». Alessandro Olivetti è un agente scelto del commissariato Esposizione, di 29 anni, ne sono passati ormai nove da quando è uscito dall’Istituto Leon Battista Alberti, dove la 67enne che ha tentato il suicidio gli ha insegnato diritto per tutti gli anni delle superiori. Nel 2015 il 29enne si arruola nell’esercito, a febbraio 2018 entra in polizia e prende servizio a Milano, nel commissariato di Lambrate, lo stesso di Christian Di Martino, l’ispettore accoltellato alla stazione lo scorso 9 maggio, che lui conosceva. Nel 2021 il trasferimento a Roma, prima nel commissariato Spinaceto, poi in quello Esposizione, che l’ha portato la scorsa settimana a salvare la vita alla sua professoressa. 

Roma, poliziotto salva ex professoressa che voleva suicidarsi: «Si ricorda di me? Sono stato suo allievo per anni»

Alessandro, cosa è successo quel giorno?

«Era l’ora di pranzo dello scorso giovedì, io e un collega stavamo montando di servizio e via radio ci hanno detto che un dottore che aveva in cura o la stessa professoressa o il figlio ha chiamato il 112 per dire che questa donna stava per suicidarsi. Ci hanno dato l’indirizzo, vicino al Palalottomatica, ma ci avevano dato il cognome del marito. Poi quando mi sono avvicinato al citofono e ho letto il cognome di lei mi sono ricordato che la mia prof. abitava in quella zona, quindi mentre facevo le scale di corsa fino all’ottavo piano ho chiesto alla centrale se fosse lei e me lo hanno confermato. La sentivo urlare “adesso mi butto, nessuno vuole aiutare mio figlio”, aveva la stessa voce di quando ci strillava in classe. Il figlio è una persona conosciuta da noi perché ha problemi di tossicodipendenza». 

Lei cosa hai fatto per evitare il peggio?

«Aveva chiuso la porta con la doppia mandata e anche con il paletto interno, era impossibile entrare da lì, dovevamo aspettare che i colleghi sotto insieme ai vigili del fuoco individuassero la finestra dell’appartamento e riuscissero a raggiungerla dall’esterno. Fuori dalla porta le ho detto “prof ma sono io, Alessandro, non si ricorda? Apra la porta”. Lei ha visto dall’occhiello e mi ha riconosciuto subito. Mi diceva “ma quanto sei diventato grande, mi dispiace che sei qui”, poi continuava a dirmi che si sarebbe buttata. Io per 20 minuti buoni ho portato avanti la trattativa. Le dicevo di ascoltarmi, e gli menzionavo tutti gli episodi di quando stavamo a scuola. Le ho ricordato di quando ho fatto la maturità che mi aveva chiamato dopo gli orali per dirmi che non era riuscita a farmi mettere 80 per colpa di un’altra professoressa, e ancora del viaggio con la classe a Berlino e la cena di fine anno dopo la quale ci aveva portati tutti a via della Magliana a prendere i cornetti».

E si è convinta?

«Purtroppo no, mi ha detto “ho deciso, mi butto”, quindi mi sono giocato l’ultima carta. Mi sono ricordato che lei era avvocato e gli ho detto che avevo bisogno di lei perché mi avevano indagato per lesioni e mi fidavo solo di lei. Così, per cinque minuti ho attirato la sua attenzione ma comunque mi ha detto di volerla fare finita. A quel punto per fortuna sono intervenuti i vigili. Sono stati bravissimi perché sono stati capaci di individuare la finestra da dove lei si sarebbe buttata, l’unica aperta, tutte le altre serrande erano chiuse. Lei si è allontanata dalla porta ed è andata verso la camera da letto ma lì ha trovato un vigile che l’ha bloccata e mi ha aperto la porta». 

Come ha reagito quando vi siete visti?

«Sono entrato subito dentro e quando mi ha visto ci siamo abbracciati, piangeva, mi diceva “mi dispiace”. Le ho detto di farsi controllare dai sanitari del 118 che erano arrivati sul posto e poi l’ho accompagnata fino all’ambulanza. Non me lo sarei mai perdonato se le fosse successo qualcosa perché è vero che sono passati nove anni ma per cinque anni l’ho vista tutti i giorni. Era una professoressa carota e bastone. Dava tanto a chi se lo meritava e quando c’era da bastonare, bastonava. I suoi insegnamenti del diritto per me e per il lavoro che ho scelto sono stati fondamentali. Lei per me è sempre stata punto di riferimento. Mi auguro che mio figlio un giorno abbia una professoressa così severa ma giusta».

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