Se le urne premiano chi governa
C’è un’Italia oltre la Ue. E c’è una Sicilia oltre l’Italia. Le Europee del disimpegno record – mai si era scesi sotto il 50% di affluenza, un trend che appare ormai irreversibile – confermano una serie di specificità contingenti che nulla hanno però di casuale, men che meno occasionale. Con una linea comune fra Roma e Palermo: il netto rafforzamento dei governi in carica, sostanziato dal successo del partito che esprime i rispettivi presidenti. Due anni complicati nelle stanze dei bottoni e gradimento in ascesa, non proprio un’abitudine dalle nostre volubili parti.
Eccola, dunque, l’Italia oltre l’Europa. In Francia Macron incassa la batosta e rimanda tutti alle urne; in Germania Scholz subisce il sorpasso dell’ultradestra e traballa; in Spagna Sanchez perde e regge a fatica; in Belgio il premier uscente De Croo se ne va in lacrime; perfino Orban in Ungheria retrocede nei consensi. Mentre accade tutto questo nei governi dell’Unione, l’eccezione Italia è roboante: Giorgia Meloni è l’unico premier in carica che cresce e acquista peso fra i grandi dello scacchiere continentale.
Popolari filo-europeisti tengono sì la maggioranza, ma parallelamente evapora lo storico asse Parigi-Berlino: una carta in più che l’Italia avrà nel suo mazzo, peraltro in una posizione di atlantismo dichiarato che non sposa le teorie ultrasovraniste in evidente espansione (declinante Lega a parte). E che Meloni potrà diplomaticamente giocare al tavolo dei rapporti con Ursula von der Leyen, favorita per presiedere la Commissione.
Qualche carta in più da ieri ce l’ha in mano anche Renato Schifani. Che chiamando attorno a sè le aree moderate di Cuffaro, Lombardo e Romano (pronti ora a presentarsi all’incasso), ripropone la Sicilia come roccaforte di un partito che sopravvive all’addio del suo profeta Berlusconi a Roma, ma anche al ridimensionamento del suo discepolo prediletto Miccichè al di qua dello Stretto. E con Forza Italia+Moderati davanti a Fratelli d’Italia (e una Lega che dovrà prepararsi suo malgrado ad abbozzare), la partita dell’inevitabile rimpasto alla Regione è tutta in mano al presidente in carica. Fatto un rapido calcolo, quest’estate cambieranno almeno quattro assessori a Palazzo d’Orleans. Quadra comunque non semplice. Mentre per il dopo Schifani avanza prepotentemente la candidatura di… Schifani.
C’è infine la rideterminazione degli equilibri all’interno dell’area magmatica del centrosinistra – in Sicilia, come in tutto il resto dello Stivale – robusta se solo fosse monolitica. E monolitica non è, come testimoniano gli abbozzati e poco convinti tentativi di campo largo a macchia di leopardo nelle amministrative. Nell’Isola il M5S, pur ormai lontanissimo dalle percentuali democristiane degli anni d’oro di Grillo & c., continua a stare sopra il Pd delle faide interne (e nella roccaforte Palermo i Cinquestelle sono secondi solo a Forza Italia). Ma un ruolo importante lo avrà anche l’alleanza Verdi-Sinistra che riporta in trincea Leoluca Orlando. Un ruolo almeno pari a quello destinato a un declinante Cateno De Luca: a scrutinio appena chiuso un importante esponente del centrosinistra sussurrava che sarebbe stato inevitabile fino a ieri considerarlo candidato in pectore di coalizione alle prossime regionali. Ora non più.
È tempo piuttosto di chiedere se c’è un’Europa per la Sicilia. Dai flussi migratori alla tutela di settori strategici come agricoltura o pesca, le risposte che si attendono sono tante. Perchè ha ragione Mattarella a invocare la sovranità europea, con buona pace del leghista Borghi e di un imbarazzato Salvini. Ma ha altrettanto ragione chi ritiene che questa non debba calpestare le identità territoriali e le specifiche esigenze locali. Con otto deputati su otto, un pezzetto di Sicilia in più in Europa ci sarà. Basterà?
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