Serena Mollicone, la testimonianza che può ribaltare il verdetto: «Non lasciò mai la caserma»

La rivelazione del brigadiere Santino Tuzi, che disse di aver visto Serena Mollicone entrare nella caserma dei carabinieri di Arce (in provincia di Frosinone) il primo giugno del 2001, intorno alle 11 del mattino, e di non averla vista più uscire, «è credibile». Lo ha sostenuto ieri il sostituto procuratore generale Francesco Piantoni, dando inizio alla requisitoria (che terminerà il 24 giugno) del processo di secondo grado per l’uccisione della 18enne, trovata il 3 giugno di 23 anni fa senza vita in un boschetto della Ciociaria con la testa incappucciata in un sacchetto di plastica, mani e piedi legati con scotch e fil di ferro. Sono imputati davanti alla Corte d’assise d’appello di Roma, con l’accusa di omicidio volontario, l’ex comandante della stazione dei carabinieri di Arce che inizialmente aveva indagato sul delitto, il maresciallo Franco Mottola, la moglie Annamaria e il figlio Marco, assolti il 15 luglio 2022 dalla Corte d’assise di Cassino «per non avere commesso il fatto». Alla sbarra ci sono anche due degli allora sottoposti di Mottola: l’ex luogotenente Vincenzo Quatrale, per concorso morale nell’omicidio, e l’appuntato Francesco Suprano, accusato di favoreggiamento. Entrambi erano stati assolti in primo grado «perché il fatto non sussiste».

«Dobbiamo credere a Tuzi», ha sottolineato il pg facendo riferimento a quella rivelazione, «per come l’ha detta il 28 marzo del 2008»; mentre quella che è «assolutamente non credibile» è la ritrattazione. Tuzi, infatti, si “rimangiò” le sue stesse dichiarazioni, e poi ritrattò la ritrattazione. Infine morì suicida l’11 aprile dello stesso anno: due giorni dopo l’ultimo interrogatorio fu trovato nella sua auto con il petto squarciato da un colpo sparato dalla pistola d’ordinanza. «Mio padre ha sempre detto la verità ed è stato il primo a rompere il muro di omertà attorno alla morte di Serena Mollicone – ha commentato ieri la figlia di Tuzi – Ha sempre agito per senso di giustizia: la verità è proprio in quel verbale del 28 marzo 2008, come affermato nella requisitoria. Ho ascoltato la registrazione delle dichiarazioni rilasciate quel giorno da mio padre ed era sereno». «Tuzi è stato l’ultimo a vedere questa ragazza viva», ha specificato il pg.

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LA PORTA

Una porta di legno della caserma di Arce è diventata la prova “regina” che dà la svolta per risolvere il caso. «Serena ha sbattuto contro quella porta – ha spiegato ieri il pg Deborah Landolfi – È questa la dinamica». Le consulenze tecniche dicono che c’è «un’ottima compatibilità» tra le ammaccature trovate su quella porta e le fratture craniche sul corpo della vittima, «che poi è il modo scientifico di dire che è così». La 18enne «è morta per asfissia causata dal nastro adesivo con cui è stata imbavagliata e poi le è stato messo il sacchetto sulla testa – ha precisato il rappresentante dell’accusa – Dall’autopsia sono emerse anche una serie di lesioni tra cui alcune fratture craniche e un consistente infiltrato emorragico, ma la cosa strana è che nessuna di questa fratture è scomposta. Quindi a causarle è stato un oggetto ampio e piatto come la porta». Sull’orario della morte il pg ha aggiunto che «sarebbe avvenuta tra le 13 e le 21 del 1 giugno». 

Quello di Serena Mollicone – uccisa mentre si stava preparando per gli esami di maturità – resta uno dei delitti irrisolti più oscuri d’Italia. A complicare la soluzione di questo caso hanno contribuito presunti depistaggi, errori grossolani da parte della Procura di Cassino e il clima omertoso di Arce. La ragazza frequentava l’ultimo anno del liceo socio-psico-pedagogico di Sora. Era una studentessa modello e suonava il clarinetto nella banda del paese. La madre era scomparsa per una grave malattia quando lei aveva 6 anni. Il padre era un insegnante delle elementari che gestiva una cartolibreria ad Arce: è deceduto 4 anni e mezzo fa senza sapere chi ha ucciso sua figlia.

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